domenica 28 settembre 2008

Eravamo giovani, dopotutto. Eravamo quattro. Ricordo che quella volta bevemmo parecchio e verso mezzanotte eravamo ubriachi e contenti. E giovani. Non sapevamo come le nostre vite si sarebbero sviluppate, come ci saremmo separati a breve, ognuno per la sua strada differente, per ritrovarsi solo di tanto in tanto per una rimpatriata, cercando di scimmiottare i vecchi motivi che ci tenevano legati, quelle battute ormai datate che però facevano ancora sorridere. Nick era tra noi quello meno esperto nel bere, tanto che Jack organizzò una vera congiura contro di lui, e noi tre anche, comperando di nascosto una bottiglia di rum che gli mostrammo quando ormai era troppo brillo per rifiutare un altro bicchiere. La scolammo velocemente con equità, un quarto a testa. Stavamo seduti attorno al tavolo in legno massiccio di una baita di montagna ed io ancora non fumavo. Fumare, a quel tempo, faceva ancora male alla salute. Poi uscimmo senza una ragione precisa e nella notte stordita camminammo un poco a bordo della strada statale che passava ripida lì vicino, senza una vera ragione o meta ma con la sola idea di protrarre più a lungo possibile quelle ore senza pensieri e ricordi fumosi. Frankie ebbe quella che poi definimmo all'unanimità una "sbronza premurosa" poiché non faceva altro che continuare a ripeterci incessantemente di prestare attenzione e camminare al di fuori della linea bianca a bordostrada. Temeva che qualcuno di noi fosse investito da una qualche auto immaginaria che non sarebbe mai passata a quell'ora della notte, su quella sperduta strada statale di montagna. Noi per contro camminavamo al centro della carreggiata, con una soddisfazione sottile, come se stessimo riprendendo potere su un terreno dove, durante il giorno, era pericoloso avventurarsi. Forse cercavamo di infrangere qualche regola semplice, per sentirci liberi. Liberi di camminare al centro della carreggiata. Poi prendemmo un sentiero che saliva verso le piste da sci, dove l'erba estiva iniziava a inumidirsi nelle prime ore di un mattino di maggio. Ci sedemmo sul prato e in quel momento Nick ebbe un crollo emotivo. Come se quell'atto di rannicchiarsi a terra avesse fiaccato le sue difese interiori e l'alcool avesse strappato dal suo cuore emozioni che credeva di aver dimenticato: pianse ricordando un amore andato male, ricordando dentro di sè, silenziosamente, i particolari di quella donna fresca e dagli occhi vispi ed azzurri che lo aveva preso, innamorato ed abbandonato nel giro di pochi giorni.  Lui amava innamorarsi e quindi si era gettato su quegli occhi con la forza e lo slancio di un parigino disperso sulle Prealpi. Tentai di consolarlo, ma sapevo che una buona dormita avrebbe fatto più di tutte le parole che la mia bocca, impastata e disarticolata,  potesse in quel momento pronunciare. Gli strinsi un braccio attorno alle spalle. Dopo poco tornammo tutti assieme dentro casa ed il letto ci aiutò a dimenticare le nostre risa e sostituì alla sensazione di leggerezza un pesante mal di testa mattutino. Nella notte Nick, che dormiva accanto a me, si alzò più volte per andare a vomitare. Era debole di stomaco e vomitava spesso in primavera e spesso anche quando si innamorava e spesso e soprattutto quando beveva. Tra noi era quello meno esperto nel bere, ma mentre piangeva, quella notte sulle pendici del Bondone, gli volemmo tutti un gran bene.

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