mercoledì 20 gennaio 2010

Aironi di carta

Un nuovo inizio è all'orizzonte e mi appresto a partire da questa terra che per due anni a ospitato i miei pensieri. E' nato un nuovo progetto, fatto di più persone, costruito insieme ad altri autori ed amici, riuniti in quello che su wiki è chiamato "social blog". Una terra a sei mani dove sensibilità differenti avranno modo di confrontarsi e di esprimersi dove non sarò più un unico protagonista, ma parte di una scena teatrale più ampia e complessa. Spero di più ampio respiro e più ricca.

A chi tra voi non è giunto su questa terra per caso, voglio presentare altre persone. Tutto questo consisterà semplicemente in un nuovo link, un nuovo blog che spero possa portare voi ed altri ad un avvicinamento verso un certo "qualcosa" che lì cercheremo di fare accadere.

Aironi di carta sono piccoli messaggi che prendono il volo dalle nostre menti e che atterrano dove vi sia una piccola disponibilità di spazio e di tempo. E' in questo volo che per la prima volta nasce anche dal desiderio di unione con altri, che si nasconde una speranza futura, ancora non pronunciata.

Se vuoi collaborare con noi a questo progetto, contattaci sul blog o per mail, vieni a trovarci su AIRONI DI CARTA !

A presto,
Giulio

martedì 19 gennaio 2010

Fossi cieco
per vedere il mondo
con occhi nuovi.
Come dice un amico "siamo giunti ad una svolta", il tempo è maturo per fare un passo oltre, per modificare la forma e approfondire i contenuti di ciò che potrebbe essere inserito su una terra come questa!

Ed...a presto nuove info!

giovedì 14 gennaio 2010

Lets start to talk about stars. Di punto in bianco mi ritrovo in un mondo fatto a cupola, un mondo gonfiabile e buio, puntinato di stelle che ruotano, di stelle che rilucono, di stelle che si spiegano. E' un inizio.

mercoledì 13 gennaio 2010

Sarebbe bello socializzare. Tutto. Diventare più grandi non per sé, ma per far sì che anche altri possano crescere grazie a noi. E noi grazie a loro. Non c'è spazio per tutti? Io non ci voglio credere. Se mi conquisto un posto voglio stringermi e far sedere qualcun altro accanto a me. Mi rifiuto di credere che il senso del mio faticare si esaurisca nel tentativo di arraffare il maggior numero di riconoscimenti (sociali, economici...) possibile. Non mi interessa diventare grande io, non lo sarò mai abbastanza, in ogni caso. Mi interessa diventare più compassionevole, generosa, giusta, coraggiosa, delicata e rendere tale la realtà che mi circonda.

Commento ad un post di questa pagina di A.A., che volevo portare all'attenzione di tutti. Bisogna imparare un segreto per dare un taglio all'egocentrismo. Lo ripeto che mi sembra funzioni.

Dare un taglio all'egocentrismo.
Dare un taglio all'egocentrismo.
Dare un taglio all'egocentrismo, in ogni aspetto dell'esistenza.

venerdì 8 gennaio 2010

Ma cos'è questo ticchettare antipatico, lì fuori, questo buio casalingo che oggi mi prende e che mi scrollo via con fatica. Ci sono giornate facili e giornate difficili. E ci sono metodi per spazzare via questa antipatica pioggia. Ma devo attendere ancora un'ora, prima che si levi alto il sole. O forse semplicemente uscire da queste mura che m'imprigionano.
La macchia (parte 3 di 3)

Solo Giancarlo in quella scena dai contorni sfocati mantenne una certa calma, ritornò in soggiorno ed esaminò meglio l’interno del caminetto, ormai violato rifugio natalizio. Con circospezione guardò alla pietra sporca, ai pochi regali che, posti in un angolo, non erano stati contaminati da quello strano morbo liquido e poi vide dall’alto, ploc, cadere una goccia scura e precipitare densa in basso. Ruotò la testa e guardò verso l’alto e scorse, tra i pannelli di polistirolo che isolavano il camino, una piccola fenditura dove, toccando con indice e medio percepì un viscidume antipatico. Ritrasse la mano e con il pollice si strofinò i polpastrelli: quella era l’origine di quella spaventevole macchia. Ciò che accadeva quella sera al di sopra di quei pannelli, era un evento ordinario. Nei giorni precedenti aveva piovuto molto e per il vento dell’acqua si era infiltrata lungo le pareti della vecchia canna fumaria, sottraendo alla pietra alcuni strati di fuliggine vecchia di secoli, che mischiandosi con la pioggia aveva dato origine a quel denso liquido, poi colato all’interno del caminetto. Tuttavia, quello che l’uomo poteva vivere al di sotto di quei pannelli, all’interno di una realtà differente fatta di momenti di lucida razionalità alternati a grandi pause di incoerenza e sentimenti gettati alla rinfusa, era una scena ben meno chiara. Sembrava quasi che un Babbo Natale fosse disceso nel camino con il suo sacco pieno di doni e che fosse rimasto intrappolato in qualche antico strumento di dolore, messo lì per chissà quale motivo, e che il suo pianto, il suo sudore nel tentare di risalire e riprendere il suo corso ed il sangue rossastro, sgorgato dalle ferite della discesa in quello strettissimo inferno, si fossero mischiati con la cenere e fossero scesi giù, oltre ai pannelli, mentre l’ignara famiglia Schelfi era ancora tutta presa a contemplare piccolo schermo. Questo sembrò a Giancarlo e sebbene sapesse che quella sensazione non potesse avere alcun senso, gli rimase addosso una certa nausea di inspiegabile. Ploc, un’altra goccia. Mentre in bagno Liliana lavava e rilavava il suo maglione, mentre cercava di pulire quei piccoli cuori di lana colorata dalla macchia ed il proprio dall’impronta delle sue ansie riemerse in quello sfortuito accadimento natalizio, Roberto e Giancarlo in salotto discutevano sul come e sul perché ed alla fine convennero che doveva trattarsi di una infiltrazione dovuta alla pioggia intensa degli ultimi giorni, una infiltrazione che, seppur strana e del tutto eccezionale, non poteva avere altra spiegazione. Era la prima volta, dacché la famiglia Schelfi abitava in quell’appartamento, che accadeva una cosa simile e proprio la sera di Natale, dell’unico anno in cui mamma Liliana aveva deciso di non fare l’albero e di optare per un Natale più semplice. Una infiltrazione certo, ma un caso ben raro!, Ripeteva Giancarlo al padre ed a sé stesso, Un caso ben raro! Anche mamma Liliana ed i fratelli, salvato il salvabile nel bagno di casa, ritornarono in soggiorno con i regali recuperati dal nero, tranne il maglione di cashmere, che se ne rimase solo sullo stendibiancheria ad asciugare. Il suo futuro era incerto. Se fosse rimasto l’odore di fumo, Liliana lo sapeva, il maglione sarebbe stato irrecuperabile. Ritornarono con loro un paio di guanti, la felpa di Giancarlo, un astuccio d’alluminio con due penne, una confezione ancora sporca di un profumo e qualche altro oggetto. Persi i pacchetti ognuno disse di chi fossero i regali e per chi fossero e quindi vennero distribuiti rapidamente. Gli animi di tutti si rasserenarono un poco. Un caso strano, rifletteva papà Roberto, ma possibile, possibile, sicuro! e con al sua autorità convinse tutti. Poco a poco ognuno si stancò di rigirare tra le mani i propri doni e verso le una e trenta i fratelli minori di Giancarlo già spegnevano le luci nelle loro stanze, mentre lui ormai solo leggeva il primo capitolo di un libro di racconti regalatogli. Roberto russava nella sua paterna tranquillità, mentre nel buio della loro stanza, mamma Liliana ancora sveglia tendeva l’orecchio ad ogni piccolo suono e proprio mentre stava per chiudere gli occhi udì chiaramente ploc ploc, di là, in soggiorno. Ancora la macchia nerastra non aveva cessato di cadere, ancora sporcava la pietra del caminetto. Ancora gettava ombra sulla propria inquietudine di quel dicembre assai diverso da quelli passati e si augurò, mentre ancora scrutava il silenzio inconsueto ed i rumori abituali, diverso anche da quelli futuri. Ploc ploc, nuovamente cadeva una goccia scura.

The End.

giovedì 7 gennaio 2010

La macchia (parte 2 di 3)

Quest’ultimo aveva una particolarità. Nella loro casa assai moderna i signori Schelfi avevano da anni installato un innovativo sistema di riscaldamento a terra, piccole canne in metallo che trasportavano l’acqua calda sotto il parquet di noce scuro e diffondevano un caldo tepore in ogni stanza. Il caminetto si era trasformato, in quella casa antica del centro cittadino, in un cimelio dell’antica anima di quell’appartamento, in una testimonianza di periodi duri in cui quelle stanze erano fredde ed abitate da uomini e donne differenti, prima giovani, poi anziani ed ormai defunti. Quel caminetto era una semplice testimonianza del passato, un angolo inutile ma pur sempre affascinante che i coniugi avevano deciso di mantenere, isolando però la canna fumaria che saliva verso il tetto mediante alcuni pannelli di polistirolo, per evitare una inutile dispersione di calore su e su fino al comignolo e poi fuori, nel cielo cittadino. A ricordo della sua antica funzione, al centro del pianale in pietra del caminetto, era stata posta una candela di un colore arancione spento, anch’essa con solo valore estetico e mai utilizzata. In questa piccola grotta protetta da ogni lato, al riparo perfino dalle proprie inquietudini, Liliana pose i propri regali per i famigliari e così fece alcune ore dopo il marito Roberto ed i tre figli. Sulla cima di una piramide composta da una quindicina di piccoli pacchetti, troneggiava un incarto color ocra, morbido e raffinato, che sembrava cadere un po’ ai bordi, rinserrato in un fiocco di tulle verde. Era stato Giancarlo, orgoglioso della propria azzeccatissima scelta, a porre all’apice della piccola collina di doni il bel maglione di lana di cashmere comperato il giorno stesso per la madre. Questo accadeva nel tardo pomeriggio, a poche ore dalla cena della vigilia e dai festeggiamenti.
Le ore che separano gli eventi narrati da quelli che stanno per accadere furono ore di vita famigliare, di chiacchiere più animate del solito, di una gioia tranquilla di cui tutti i cinque membri di casa Schelfi avevano agghindato il proprio sorriso. Si mangiò e si bevve, si parlò di gradevoli faccende ed anche Liliana volle farsi trasportare in quel mondo, così simile a quello degli anni passati, così caldo e confortevole. Lasciò da parte le proprie inquietudini e si dedicò ai primi, all’arrosto ed al panettone. Tutto sembrava contribuire a fare di quel Natale un Natale felice e nessuno presagiva ancora quale viscida, densa ed oscura macchia di inspiegabili eventi avrebbe di lì a poco trasformato quei caldi sorrisi in smorfie di inadeguatezza. Dopo la cena la famiglia Schelfi si riunì davanti al grande schermo del televisore, proprio a lato del caminetto zeppo di dare e ricevere. Le luci si spensero i tutti furono trasportati dentro una storia natalizia qualsiasi, con cani e bimbi come protagonisti, grandi difficoltà iniziali ed un lieto fine come altri. Scorrevano i titoli di coda, la mezzanotte era passata ed era tempo di aprire i pacchi, s’era atteso a sufficienza. Così Giancarlo si alzò dal divano, accese la luce del soggiorno e vide allegro i parenti avvicinarsi al caminetto. Ma qualcosa andò storto. Vibrò nell’aria un certo inspiro di spavento e poi dei ma ma..., cosa..., sospesi in un silenzio nuovo e senza risposte. Roberto guarda!, già diceva Liliana, C’è un regalo che spande qualche cosa...ma cos’è? Da dove viene? Madre e padre si erano gettati in avanti e con grande apprensione videro una macchia oleosa e nerastra che gocciolava dall’alto della piramide, ploc ploc, goccia dopo goccia, macchiando numerosi pacchetti. Liliana iniziò, senza capire cosa fosse quello strano liquido, a spostare i regali e già gridava, Roberto aiutami, corri, sbrigati! ed il marito, battendo pesantemente i talloni in giro per la casa, nervosamente corse, si brigò ed aiutò. Cercò un contenitore di qualsiasi tipo. Giancarlo se ne stette un poco distante, osservava come distaccato, senza capire ma con una certa curiosità, i movimenti dei famigliari che si accalcavano al camino, spostavano i regali accuratamente riposti, gettavano alcuni pacchetti sporchi di un qualche liquido proveniente da chissà dove in un secchio, correvano in bagno ed esclamavano, Ma cosa può essere stato? Che schifo accidenti, cosa può essere stato?. Così dicendo Liliana davanti al lavabo scartava rapida i pacchetti sporchi di tutti mugolando sempre più sommessamente, quasi affranta, Anche la felpa si è rovinata!, Quello era il mio regalo!, protestava il fratello minore, ma l’urgenza, l’impellenza di salvare il salvabile in quel momento sovrastava ogni meccanicità natalizia e continuò Liliana a scartare regalo dopo regalo, fino ad afferrare, più sporco ed impiastricciato di tutti, un pacchetto di carta color ocra di medie dimensioni ormai fradicio di un viscido nerume che aveva fiaccato la carta, incatramato il fiocco verde e, come Liliana si accorse dopo un istante, era penetrato all’interno del pacco macchiando irrimediabilmente un bellissimo, Oh Gesù! Questo maglione è tutto rovinato! Roberto guarda, è tutto rovinato, non c’è nulla da fare! Era per me, nevvero? Oh Gesù che peccato!. Liliana invocava proprio quel Gesù di cui il Natale rappresentava la comparsa sulla terra, lo invocava tra i sospiri, con voce tremante, la mente annebbiata dalla sciagura che aveva confuso le carte.

...to be continued.

mercoledì 6 gennaio 2010

La macchia (parte 1 di 3)

Per i coniugi Schelfi ed i loro figli si preannunciava un Natale felice, ricco di doni ed in generale simile a quelli passati e a quelli futuri. Giancarlo Schelfi, figlio maggiore di tre, il mattino del ventiquattro dicembre duemilaenove si alzò di buon ora, fece una colazione semplice e schizzò fuori di casa per unirsi alla gelida fiumana di persone che attraversavano, in quell’ultimo giorno lavorativo prima delle feste, il centro cittadino. Anch’egli era, come tutti, alla ricerca di un ultimo regalo: non aveva ancora scovato nulla che si adattasse al raffinato gusto estetico di sua madre Liliana. Scruta Giancarlo, le vetrine pulite dei negozi del centro! Cerca cerca il pensiero più dolce per la tua cara mamma, fai come tutti; tutti ignari d’esser partiti quel giorno per la stessa improbabile missione! Quasi foste una moltitudine di segretissime spie insospettabili l’una per l’altra che furtive gettano occhiate apparentemente disinteressate ad ogni genere di mercanzia. Così camminava, sospinto dalla corrente natalizia, Giancarlo Schelfi, quando d’un tratto vide, dietro ad una vetrina, un corpo femminile acefalo di plastica liscia che indossava un maglione leggero di lana morbida, probabilmente cashmere. Si fermò un istante per valutare meglio l’oggetto in vetrina. Sulla parte anteriore del maglione, su uno sfondo nero campeggiava un grande numero di cuori di colore e dimensioni differenti, ordinati in colonnine tali per cui ogni punta di cuore era diretta verso quello successivo, a mo’ di plotone d’amore. Osservò ancora il maglione, impietrito, poi guardò nuovamente lontano, un punto indefinito tra la folla, dove il caos natalizio andava confondendo le sagome degli uomini in uno sfondo indistinto. Dopo alcuni istanti si decise ad entrare nel negozio, come arreso a quel particolare oggetto, rinunciando necessariamente a tutti gli altri magnifici e inimmaginabili doni non scorti ed ancora racchiusi nello scrigno d’opulenza cittadino. Dentro al locale si fece strada tra le signore anziane e le ragazze giovani, tutte diverse l’una dall’altra ma simili nel guardare, nel commentare tra amiche, nel toccare e pensarsi addosso i capi più strani. Lui però era uomo e come tale non poteva che muoversi goffamente e con passi troppo decisi, che svelavano un certo imbarazzo, in quell’ambiente. Si diresse rapido verso una commessa, scambiò con lei poche concise parole tra cui maglione, cuori, vetrina, taglia quarantasei, pacchetto regalo, grazie ed arrivederci e quindi uscì, vittorioso cavaliere, accompagnato dal suono di un pendaglio appeso sopra alla porta del negozio che, gli parve in quel momento, una nenia militaresca che parlava di ritorno alla terra natia. Nella mano destra, stretta nel pugno chiuso, una borsina quadrangolare bianca, contenente il trofeo di quella sua mattinata di lotta. Raggiante si riunì allo sciame d’uomini e cose che fluiva per le vie; a volte assecondandone il flusso, a volte remando disperatamente in direzione opposta, ritornò al fine al portone antico della propria casa, felice, senza più pensieri e deciso a non uscire più mai per il resto della stramaledetta vigilia.
Quell’anno in casa Schelfi mamma Liliana aveva fatto una scelta particolare, quella cioè di non montare il consueto albero di natale. Si trattava infatti di una complicata operazione di disimballaggio e montaggio, in quanto l’albero in questione era in fibre di plastica ed ogni ramo necessitava di essere connesso al tronco principale in acciaio, spennellato di verde per meglio somigliare al fratello vegetale. L’ordine doveva essere preciso e in generale la tecnica raffinata al punto che quest’anno Liliana proprio non se la sentiva. Rinunciò alle palline ed iniziò ad adornare di lucette e fiocchettini il caminetto del soggiorno, che le era sempre sembrato un degno sostituto per via del calore natalizio sprigionato dalla grande cornice intagliata di ciliegio che sovrastava la pietra. Qui pose alcune luci, un piccolo presepe molto rudimentale, contenente i membri fondamentali della scena e qualche addobbo non troppo suntuoso. Era quello per lei un Natale semplice, dopotutto, sebbene le differenze fossero minime e difficilmente rintracciabili per un occhio non esperto. Eppure c’erano: c’era lo spazio vuoto dove gli anni precedenti svettava il grande albero, c’era forse dentro di lei uno spazio ancor più grande dove si erano riunite in quel mese di dicembre le sue ansie di madre e di donna, ansie che avevano occupato il luogo dedicato un tempo ad altri pensieri, ad una felicità forse più definita, ma anche scontata. Ma nel tuo cuore di donna normale, piccola Lili, non v’è spazio per tutte queste riflessioni e le cose si confondono in un oceano di emozioni inquiete ed altalenanti, come grandi onde troppo vicine ai figlioletti che nuotano in mare. Il tutto si esprimeva in quella decisione di spostare i regali sotto al caminetto.

...to be continued.

martedì 5 gennaio 2010

Non c'è nulla che renda più difficile il dialogo che l'eccessiva stima di sé stesso, il pretendere che le proprie idee non abbiano bisogno di essere confrontate con quelle degli altri.

- N. Bobbio -
E lei guardandomi negli occhi disse: "Perché io ho una cultura, perché ho dedicato i primi venticinque anni della mia vita allo studio, alla comprensione del mondo e degli uomini? Ho forse fatto l'università per essere migliore degli altri, per arrivare prima ai concorsi? Per superare i miei amici ed i miei compagni? Per esser la migliore e prendere per me tutte le borse di studio, tutti i contratti di lavoro possibili? Oppure è per qualcos'altro, che ho fatto tutto questo?"

Io rimasi in silenzio. Possibile che tutto il percorso di venticinque anni di noia e passione, di rabbia per brutti insensati voti, di paura per le interrogazioni, tensione per gli esami, studio appassionato e quant'altro, possano essere finalizzati solamente al fare carriera?

Cos'è la cultura?

lunedì 4 gennaio 2010

Rinuncia

Rinuncerei
a tutto quello
che ho scritto;
a quel tanto che ho dato,
a quel poco che ho avuto:
pur di dare
un volto
ai miei sogni
e un perché
alle mie ansie.

- Gino Creazzi -

domenica 3 gennaio 2010

Per liberarsi dai pregiudizi, gli uomini hanno bisogno prima di tutto di vivere in una società libera.

- N. Bobbio -
Prendere sul serio la vita vuol dire accettare fermamente, rigorosamente, il più serenamente possibile, la sua finitezza.

- N. Bobbio -