giovedì 31 dicembre 2009

E' la fine. Un anno si chiude. Porto i segni della svolta, ho voglia di nuovo, di chiudere e riaprire. Molto è accaduto, cambiato, ancora nuovamente stravolto. Programmi e progetti che senza mai fine si intersecano e si scompaginano, alcuni pericoli evitati. Il futuro è gravido di risposte. Per questo adieu, un altro anno è dietro.
Il filosofo è aperto al dubbio, è sempre in cammino, il porto in cui arriva è soltanto una tappa di un viaggio senza fine, e occorre sempre tenersi pronti a salpare di nuovo.

- N. Bobbio -
La pace è un bene assoluto, condizione necessaria per l'attuazione di tutti gli altri valori.

- N. Bobbio -

mercoledì 30 dicembre 2009

La libertà si può usare per il bene e per il male. La libertà si può anche sprecare. E a furia di sprecarla, un giorno o l'altro (vicino? lontano?) la perderemo. Ce la toglieranno.

- N. Bobbio -
La mitezza è l'unica suprema potenza che consiste nel lasciar essere l'altro quello che è.

- Norberto Bobbio -

venerdì 25 dicembre 2009

Chinare il capo.
Fare parte del sistema.
Entrare a far parte della società condivisa.
Cercare sicurezza, trovare un reddito.
Agire come altri hanno agito nel passato.
Non prendermi il tempo per me stesso.
Cercare un lavoro.
Mettere a "frutto" quello che ho studiato.
Essere ragionevole.
Produrre.
Essere realizzato.
Diventare importante.
Avere potere.
Essere qualcuno.
Fare parte del sistema.
Fare parte del sistema.
Fare parte del sistema.

Sorridendo raccolgo indizi su come il grande Velo di Maya pretenda di inspessirsi davanti ai miei occhi appena ne sollevo uno strato, come la crosta solida che si forma su di una ferita dopo averne scalfito una piccola superficie. Tutti coloro che sono all'interno mi indicano la strada per raggiungerli in un luogo dove non voglio essere, e l'insistenza globale, la forza totale di mille microscopiche attrazioni, è tale da trascinarmi nella direzione errata per interi giorni, per spaventarmi, per annebbiare la mia mente ed accecare la mia vita. Tutti coloro che hanno accettato il compromesso lo consigliano come il male minore. Giudicano come una bizza il mio apparente "non voler fare". Chiamano vizio quello che è pregio.

Chiedo scusa. A tutto questo io dico no. Potete starmi vicino, se lo desiderate. Io ne sarei felice. Ma non potete portami dove non posso andare. Non v'è giudizio da parte mia, non v'è leggerezza, anzi vi è difficoltà ed accettazione di un peso, di un compito arduo. Io scelgo ancora di camminare a piedi scalzi sulla lama affilata dell'incertezza. Prima perderò tutto il resto, poi i miei sogni.

Prima perderò tutto il resto, poi i sogni.
Prima perderò tutto il resto, poi i sogni.
Prima perderò tutto il resto, poi i sogni.

Sarò un sognatore?
L'attesa

Aspettare,
ad un crocicchio,
per tutta una vita
qualcuno
che deve venire
e non sapere
da dove.
E accorgersi
infine
che è dentro
di noi.

- Gino Creazzi -

giovedì 24 dicembre 2009

Bagna la pioggia la neve e sotto, il prato ancor verde. E' un natale di lacrime al cielo, un natale umido, pieno di speranze ma anche di interrogativi irrisolti, di futuri incerti e non scritti. Poi un ragazzino al piano di sopra distrugge Stille Nacht fuori dal flauto, ogni sofferta nota esce dalla plastica come fosse un ultimo respiro. Chissà quali grandi doni porterà la notte a coloro i quali non amano inchinarsi alla sconfitta, a coloro che anche se non va, non importa ed amen, si volta pagina. Quel flauto e la pioggia e la neve disciolta e le bandiere tibetane che sventolano nel freddo del ventiquattro dicembre sono un fiore di poesia all'occhiello di un reale un po' avaro, ma comunque presente qui, ora, davanti a me.

Dove mi porta il futuro, adesso?

martedì 22 dicembre 2009

La neve è giunta. Oggi i cachi fuori dalla finestra sono dei babbi natale all'incontrario, ognuno di essi sembra nella distanza una faccina arrossata con in testa un cappellino a cono bianco, mentre i corvi ed i passeri ancora banchettano tra i rami, golosi come i giorni diversi da questo, che s'è vestito di bianco.

E' possibile, mi è già capitato, fare un po' di pulizia in testa e sostituire al magma caotico dei pensieri uno stato di osservazione capace di raccogliere dei dettagli del reale che solitamente sfuggono. Sfuggono al punto che per quasi tutti non esistono e basta, e non mi rompere i coglioni con 'ste cazzate! Invece ieri, mentre passeggiavo sotto le lacrime bianche, ho sentito per la prima volta la voce della neve. Ma non sono i "suoni della natura", poiché anche i luoghi e gli oggetti hanno una voce, anche il cielo, il sole e gli astri bisbigliano continuamente il loro umore. Al confronto le persone te lo vomitano addosso, da quanta irruenza mettono nel comunicare il proprio stato interiore. Una voce flebile che si perde nella confusione e nella distrazione.

Il cucciolo di lessie dei vicini, nel giardino, sotto il caco, cerca sconvolto un luogo dove fare pipì. E' la prima volta che vede la neve e non sa proprio come gestire le sue impellenze urinarie in quella coltre bianchissima e farinosa.

domenica 20 dicembre 2009

Come proiettili impazziti schizzano i passanti per le vie gelide. Io tra queste scompaio, divento un rigido pezzo di carne congelata, alla ricerca di un contatto con gli altri. I passanti molto spesso sono nella nostra vita, più che per strada.

Sono alto due metri circa. Le più alte montagne ottomila. La terra ha un diametro di 12000000 metri. Molti. Davvero? Il sole dista 149600000000 metri. E' molto? Non troppo. Sapete quant'è un anno luce? Sono circa 9460800000000000 metri. La stella più "vicina" è a quattro anni luce. Il centro della nostra galassia è a 12000 anni luce, pari a 113529600000000000000 metri. Molto? Non troppo. Le galassie più vicine alla nostra sono a circa due milioni di anni luce, pari a 18921600000000000000000 metri. Ma sono quelle vicine. Quelle lontane sono a miliardi di anni luce da noi, anche dieci, cioè 94608000000000000000000000 metri. Fuori, non si sa cosa c'è, potrebbe essere un universo tra infiniti altri.

Conclusione: se la "fikezza" si misurasse in metri, saremmo delle merde. Fortuna che c'è dell'altro e che, sotto di noi, ci sono gli atomi e le formiche, ancora più piccoli. Avanti con i regali di natale.

mercoledì 16 dicembre 2009

A volte leggo una mia poesia e mi sembra che darei la vita per lei. La leggo e mi commuove, come una figlia che cresce, ne cambio una parola, aggiusto la metrica, la rileggo, ripenso all'emozione che l'ha ispirata, rivivo i momenti andati. E' una fotografia interiore. Molte sono bellissime, altre non mi piacciono perché rileggendole non vibrano, la vita è fuggita dalle strofe ed una strofa morta è una strofa brutta. La poesia è un dono grande. Ogni poesia viva è un dono. I like it.

Isola di sogni perduti

Lievi increspature degli occhi
un lento rovinio di mura chete,
in volto una gioia accennata
ed anche una melancolia sottile.

Che siano forse i tuoi zigomi
lentiggini di stelle africane?
Che sia tu oggi l’antica alma
di quest’isola di sogni perduti?

Vorrei cingerti come l’oceano
rinchiude questa terra e sentire
schiantarsi il fragore del tuo cuore.

Assorto tra queste vie terrose
vagabondare per i tuoi misteri,
ilha spettinata de Moçambique.

lunedì 14 dicembre 2009

Giunge il santo natale. Come ogni anno tutti più buoni ed anche un noto marchio di intimo femminile ha voluto fare il suo regalo alla ridente ma gelida cittadina dei Tre denti. Da qualche giorno a questa parte bambini, adolescenti, uomini e anziani possono godere in città del nuovo attraente spettacolo esposto in due copie ad ogni banchina dell'autobus. Conoscendo infatti i veri desideri della popolazione ed avendo tra l'altro scartato molte letterine di adulti e piccini (per sgravare il famigerato Babbo da una mole di lavoro sempre in aumento), il noto marchio ha pensato di donarci una nuova pubblicità: una donna seminuda, con seno prosperoso in reggiseno bianco, che ci guarda con fare ammaliante tutti i giorni, più volte al giorno, da ogni fermata del bus di Trento. Ci seduce mentre andiamo al lavoro, ci fa gli occhi dolci mentre torniamo a casa con le borse della spesa, stringe un po' il petto inarcandosi in avanti e mostrando il seno mentre passeggiamo con la famiglia o portiamo fuori i nostri animali domestici, ci chiede infine di svolgerle il nastrino rosso sulle mutandine prima di andare a letto con le nostre ragazze; perché certo l'uomo deve amare la propria donna, ma quella bella pubblicità si regala a noi nella nostra mente con tale lascività...

...così, mentre gli uomini distrattamente gettano l'occhio a quei manifesti, le donne continuano inconsciamente a chiedersi se quello non sia il modello da seguire e, per farsi carine, di propria spontanea volontà entrano nei negozi e comperano i completini in coordinato. Perché, come recita in questa stagione un piccolo opuscolo di un salone di parrucchiere, a natale la bellezza è ciò che conta. Questa strategia è stata adottata dal noto marchio sempre nella caritatevole ottica di aiutare il Babbo che, di portare in giro completini di intimo non ne aveva voglia, dato l'enorme volume occupato sulla slitta.

Esco al mattino ed ho freddo, il mio pisellino se ne sta rinchiuso, nascosto, imbacuccato sotto strati e strati di mutande, calzamaglie, canottiere, pantaloni e giacche (forse necessita di una microscopica sciarpetta?). Si fa proprio piccolissimo, poveraccio, perché se c'è una cosa che non sopporta è il freddo gelido di fine dicembre e di pensare a far lo spaccone in sto periodo ci pensa solo ed esclusivamente al caldo, davanti ad un caminetto, in dolce compagnia. Cosa diavolo pensavano di fare con quei cartelloni? Di risvegliarlo proprio nei momenti meno opportuni? O forse che il bambin gesù gradisca un natale fatto di piselli duri e marmorei? Forse che vi sia una intenzione dell'altissimo di risvegliare in noi il "natale del pube?". Ve lo siete chiesti, il perché?

giovedì 10 dicembre 2009

Bach si confonde con il roboante rantolare del motore della lavatrice. Chiudo la porta del bagno. Ho fatto ordine sulla mia scrivania. Ora sulla superficie liscia del tavolo rimangono, in ordine da destra a sinistra, una lampada rossa, una tazzina ocra da tè giapponese con fiori bianchi contenente un caffè macchiato quasi freddo, il portatile da cui Bach getta note nell'aria, il mouse, un bicchiere contenente due penne a stilo ed una a sfera. Fuori dalla finestra rimane il campanile del duomo, il tronco nudo e scheletrico dell'acero, nascosto dall'abete il caco, spoglio solamente fino a dove l'uomo è riuscito a salire per coglierne i frutti e da lì in poi più orgoglioso e reale di tutti gli alberi di natale, con le sue palle arancio ovunque sospese. All'orizzonte, dietro le cimase, la Paganella innevata ed il cielo. Ed il gelo del cuore si sfà e in petto scroscian canzoni, le trombe d'oro della solarità.

lunedì 7 dicembre 2009

Come una brina invernale,
un'aria di gelide lame,
attraversata da un letargo
senza fine ne principio.
Come un'erba ch'attende
i soli e le primavere
di innumerevoli anni a venire.

mercoledì 2 dicembre 2009

Sulla via, colui che cammina verso la luce lascia le ombre dietro di sé. Chi invece volta le spalle al grande sole inevitabilmente si troverà inanzi la grande sagoma buia in cui sempre muove i passi.

Lo stropiccìo delle foglie brune in autunno, l'aria di neve pungente come aghi...

lunedì 30 novembre 2009

Ode dell'amor giovane

Squisita realtà
di giovane amore
sorpreso
nell'umido itinere
tra bocca e bocca.
Distrattamente
colto
in un locale ricolmo
di gesti
uomini
e cose.
Acerbo frutto
che schiudi
i tuoi fiori di carne
e semplici inchini
d'unione immatura.
Anelito di ragazzi.
Ritorno con voi
agli umori ingenui
d'altri me stessi
e nei vostri
rivivo
i miei baci
di desideri ormai spenti.
Quando il cuore
vergine
pergamena di seta
fu un'erba a primavera
ed ogni sole
ed ogni vento
ed ogni lacrima
di vapore riunito
racchiudeva
il mistero ineffabile
del dono divino.
Bellissima Roma. La capitale mi ha conquistato in quarantott'ore di breve permanenza, la gran parte delle quali chiuse in un piccolo teatro non lontano dal Colosseo. Una boccata d'aria fresca, un'aria mite, persone interessanti con qualcosa da raccontare...alcune a me simili.

sabato 28 novembre 2009

Leaving for Rome in one hour. Walking alone throught the town, the black train is waiting for another soul. Which thoughts will be my company? Leaving for Rome, enough.

venerdì 27 novembre 2009

Vanno, vengono, a volte ritornano. A volte si perdono. Sono le possibilità. Possibilità di intraprendere una strana piuttosto che un'altra, possibilità di fare o di non fare, di rimanere o di andare, di farsi coinvolgere o di richiudersi. In questa continua giungla di bivi, con cartelli stradali spesso sbagliati o incompleti, si muove l'uomo, cercando nella vita ordinaria di dare una direzione a ciò che direzione non ha, stabilendo un traguardo per la necessità di raggiungere un qualche punto d'arrivo, basta che ci si muova dalla partenza e si possa misurare la distanza percorsa. Un labirinto di impressioni dove il filo d'Arianna esiste solo per alcuni. Fingiamo ancora di sapere da che parte andare, chissà quando ci accorgeremo di esser ciechi.

mercoledì 25 novembre 2009

Mi addentro lentamente in un mondo nuovo e questo mondo è il mondo un po' spaventevole del lavoro, del ricercare una occupazione. Spaventevole e piacevole al contempo, interessante pure, devo dire. E' buffo ritrovarmi in questi panni, un po' a spingere in una direzione ed un po' a frenare in un'altra, a valutare quale salario possa essere per me soddisfacente. Un periodo nuovo, baciato anche da grande fortuna e da benessere. Forse anche con qualche insidia strisciante, ma di queste ancora non mi rendo conto completamente.

Desidero riuscire a non trascurare me stesso.
Ecco tutto.

domenica 22 novembre 2009

Anima di veliero

Nella prima bruma del mattino
in su verso l'alto cielo stagliavasi
il pinnacolo tracimante vita
d'un veliero da secoli in viaggio.

Scrigno segreto, sicuro rifugio
di incomprensibili misteri,
insondabile destino gotico
per la maestosa cattedrale.

Ramingo m'appresto a salire
sulla celata aeronave di pietra
e sul ponte delle tre caravelle
brucio d'un immenso d'avvenire.
A miglior vita

Aria contorta
mesto baluginare
stella che muore.

sabato 21 novembre 2009

Eternal nameless glare

Nel grande silenzio oltrecosmico
immane vibra il cuore del Cerchio,
come milioni di soli riuniti
in un eterno bagliore senza nome.

E' il suadente bacio del divino
è il dono insperato del cielo,
frutto di innumerevoli cicli
che oggi germogliano dopo l'attesa.

E' amore che spande e conquista
intensità mai esperita prima
che rende unica questa occasione.

Lacrime di gioia nascono per l'uomo
quand'egli nel profondo del cuore
il Tempio di luce va edificando.

venerdì 20 novembre 2009

Eterno bagliore senza nome

In the silence beyond cosmos
vibrate the heart of the Circle,
a thousand gathered suns
an eternal nameless glare.

Is the sensual kiss of divine
the unhoped gift from the sky
a present that suddenly sprouts
after lives and lives of frost.

Love that spreads and conquers
pristine and never felt intensity
which makes this chance unique.

Tears of joy for the human
whom in the deep of himself
the Temple keeps edifying.

giovedì 19 novembre 2009

Insieme

Legati nel cuore,
come i rami del faggio
all' abete intrecciati,
come il crepuscolo e l'alba,
o le foglie d'autunno
riunite sul prato.
Per sempre vicini
in questo e altri cicli.
Indivisibili.
L'autunno vive di un fascino particolare. L'autunno sono per tutti le foglie che cadono, le foglie che tremano al vento ingiallite, le foglie a terra che rivestono i prati. Come un vestito caduto, abbandonato sul pavimento prima della notte. Con la mano spazzo le foglie del pioppo e del ginko prima di sedermi soddisfatto a gustare un raggio di sole di fronte all'effimero segno del passare delle stagioni, di fronte all'albero della vita d'un tratto cambia la scorza. E' un momento di grande poesia nascosta, racchiusa nell'esistente e evidente solo ad alcuni.

Fuori dalla finestra, ormai maturi, rimangono sui rami appesi come palle di natale i polposi cachi, finalmente arancioni e pronti ad essere colti. Vicino nel pomeriggio che muore l'acero sparecchia la chioma e si prepara all'inverno...

domenica 15 novembre 2009

In barba a quello che riteniamo giusto o sbagliato, in barba alle paure ed alle fobie degli anzianotti che compongono la nostra società, il mondo va cambiando. Me ne accorgo non distante, in viaggio, ma proprio qui per le vie che calpesto da quando sono piccolo. Gli uomini, le culture, i volti differenti e le lingue poco a poco, negli anni, mi sono entrati in casa e francamente spalanco loro la porta e dico: "benvenuti tutti!".

Così esco la domenica mattina e nel vicolo qui sotto due marocchini incontrano un amico e risuona un salam aleikum nell'aria, poi arrivo in piazza Duomo e ci sono due nigeriani che chiacchierano ed una donna dell'est che chiede l'elemosina, passo davanti all'università e sento due studenti parlare francese, passa subito dopo un cinese ed una giapponese la incontro con il figlio in un negozio di elettronica, mentre studia le funzioni di una macchinetta per il caffè espresso. In inglese parlano un po' tutti e stamane ho incontrato pure un signore anziano che parlava una lingua slava in modo concitato al telefono, mentre la moglie gli bisbigliava qualcosa. Indiani, pachistani, congolesi, sudamericani tutti, davvero tutti in giro per le vie della piccola cittadina tra le montagne dove sono nato e ci sto proprio bene e ne sono proprio contento.

Adoro quell'aspetto della globalizzazione che shakera il mondo, the languages, as culturas, ancora una volta al di sopra di quello che ne pensano i singoli. Bene.

venerdì 13 novembre 2009

Niente ispirazione. Una cassa di contrabbasso a cui mancano le corde, come un qualcosa fatto per uno scopo ed ormai inadatto a portarlo a termine. Vieni qui a leggere la frase del giorno e poi vola via, tu, la frase ed il giorno interno, e così la frase del giorno dopo. Un blog non è lo strumento adatto di comunicazione, se ciò che si vuole comunicare necessita di un rapporto tra esseri umani. Scalpito, ci rifletto ma scalpito. Immagini. Molti uomini e donne hanno bisogno di immagini. I giorni in cui ho ricevuto qui maggiori visite sono stati quelli delle foto. Le foto piacciono, la realtà visiva acchiappa, ma la scrittura e le lettere...sicuramente meno. Ma io non sono un fotografo!

?

Beccatevi tutti un altro punto di domanda, ecco cosa!
Posso arrabbiarmi con "non so chi"? Posso essere arrabbiato con te?

martedì 10 novembre 2009

Ventuno sillabe, tre settenari

Immobile il tempo
infinito lo spazio
vuota muta la mente.
Chartres, con i suoi ottocento anni di storia e pietra, di donne e uomini che ne hanno calpestato i pavimenti, che hanno pregato e cercato un contatto con il divino proprio in quel luogo.

Chartres dove l'uomo ha voluto innalzare un tempio forte di una conoscenza che supera il passato, cresce come simbolo di un anelito e sfrutta le spinte della terra per volare su, verso il cielo.

Chartres come luogo dove condividere una esperienza con alcune delle persone a me più vicine in questa vita, come percorso condiviso verso qualcosa di immane.

Chartres come un Tempo Perfetto concluso.

lunedì 2 novembre 2009

Addio per un continente

Dolce rimembranza
di luoghi terrosi,
vergine arsura senza nome
dentro me muto riecheggia
il crepitio silenzioso
dei tuoi neri passi.

In un pianto senz'anima
di lacrime infrante
rincorro ancora il mio anelito
di pellegrino mai stanco.

Addio baci di sole
che colmaste il mio cielo.
Addio cuore scuro
che rubasti i miei sogni.

Abbandono il tuo grido
di via e morte e uomini.
Ora mi fermo.
Rimango.
Addio Africa mia.

sabato 31 ottobre 2009

Mal d'Africa significa una inondazione di ricordi che ti sommergono, ti prendono e ti portano via, in altre realtà, dove non sei. Se non fossi forte mi lascerei prendere, mi lascerei andare, mi abbandonerei alla corrente degli eventi. Se non fossi debole probabilmente farei lo stesso. Tuttavia me ne sto nel mezzo ed anche se ogni scelta è quella giusta, sento l'emotivo che si sbriciola sotto l'incubo del caldo, delle zanzare. Forse sto invecchiando. Da una parte mi trattiene il mal di me, l'amore per la direzione che desidero prendere, dall'altra mi tira il mal d'Africa con le sue visioni, con i suoi colori, con quella sua intensità smisurata, sconosciuta al resto del mondo. Io, nel mezzo, ma con un occhio di riguardo per me stesso.

venerdì 30 ottobre 2009

Le vie dell'Africa sono vie terrose. E' come se la terra ti entrasse nelle pieghe della pelle per rimanervici. Ritornano i ricordi, riaffiorano i volti dal passato prossimo, le gioie, le difficoltà. Le zanzare. Sono stufo di zanzare. Odio le zanzare. Accetto che esse esistano, ma le odio. Non perché succhino il sangue, ma per la sostanza pruriginosa che iniettano. Ma che assurda vita divisa, separata tra passato, presente e futuro quasi a compartimenti stagni, con un filo conduttore, certo, ma sempre nascosto, non troppo chiaro e visibile.

Be or not to be,
Live or not to live,
Leave or not to leave.

Una decisione va presa nell'arco di sette respiri,
uno, due...

giovedì 29 ottobre 2009

Laurea si, una specie di libertà che ti sale lungo una schiena. Decidere che fare, lungo tutto l'arco della giornata. Dottore, si, ma per quanto? Alcuni eventi mi si appiccicano addosso e già a breve devo decidere, nuovamente. Ma è sera adesso, le ombre si fanno più dense. Devo rifletterci a mente sgombra.

domenica 25 ottobre 2009

...cos'è questo silenzio? Perché la tastiera non produce più quel ticchettio sonoro di lettere in fila, avanti marsh!, una dietro l'altra? Cos'è questo spazio dove di tanto in tanto getto un pensiero, ne faccio un oggetto di lettura o forse addirittura di pensiero altrui? V'è un senso in questo? Ogni tanto alcune persone mi dicono "leggo il tuo blog ogni tanto!". A volte penso che vorrebbero dirmi che ci trovano qualcosa di interessante, sul mio blog, ma preferiscono dirmi soltanto che lo leggono. Io, di per me, invece mi imbarazzo. Manco fossi uno di quelli che scrive quel che pensa su una pagina internet come fosse uno spazio altro dal reale e si vergogni a portarlo in una conversazione. A volte, per mia fortuna solo a volte, confesso che avrei quasi voglia di chiuderlo questo spazio. Quante cose ho scritto in due anni...ma...e le poesie...perse indietro, nei giorni...non sono attuali? Non sono fresche di giornata? Le mie bimbe...penso a loro stasera. Mi sento un padre poco presente, le ho trascurate parecchio.

Ma a breve, qui si conclude un ciclo. Poi che c'è? Dietro al muro...
...cammina cammina cavallino, via lontano dalle mura giallastre della Fortezza. Verso la città, lontano dai bastioni e dalla ridotta nuova. Lontano dal deserto, là da dove, me lo sento, giungeranno i nemici.

Nonsense.

martedì 20 ottobre 2009

Ecco, correggo errori d'ortografia disseminati nella mia tesi, ascolto la voce elegante, aulica e poetica di Branduardi e tutto d'un tratto, proprio un istante fa, dentro mi torna quell'aria di certi luoghi marocchini, quel buio quando di luci sulla terrazza del Riad Rahba dove stavo a Marrakech, il rumore lontano di una discoteca. E' l'inizio di un violento ritorno di luoghi, volti, gesti, atti passati, andati per sempre eppure vivi, come fossero qui, davvero, adesso, vissuti di fresco. Così ancora una volta riscopro quanto sia fragile il concetto di reale, qui davanti allo schermo a correggere errori e con dietro gli occhi una cascata di Ouzud che romba nel caldo di mezzogiorno.

lunedì 19 ottobre 2009

Prendi due giovani uomini e mettili seduti nell'oscurità di un bosco, con il vociare degli alberi nel vento, i silenzi prima e dopo lo spezzarsi di un ramo ed i rumori della civiltà lontana. Cosa fanno? Che diavolo cercano di ottenere con il loro stare immobili? Perché? Dormono eretti? Cosa li spinge a perseverare? Perché non parlano, perché non cercano il tepore di un tè caldo? Sbagliano o fanno bene? E' inutile il loro sforzo? Oppure no? Cosa ricercano?

...scendevano giù e giù, lungo la china dei propri pensieri, dentro, verso una profondità rispetto alla quale la notte sembrava emanare un pallido argenteo chiarore...non v'era che tentativo, ad altri spetterà di valutare il loro operato...

giovedì 15 ottobre 2009


- Encounters at the End of the World di W. Herzog -

martedì 13 ottobre 2009

Prima delle prime luci dell'alba

Vento che spazzi la notte,
nel mio stanco e tremante origliare
riecheggia il tuo lugubre verso
un tetro smiagolio di felino
che soffia ed artiglia le case.

Silenzio.
Poi stoc!
Un solo colpo muto,
si schianta un legno
di imposte malchiuse
e cristalli di vetro
iniziano a morire
in un gelido fragore
tintinnio vano
ultimo
fragile rantolo.

Nuovamente frusciare
il freddo assorda gli orecchi
di colui a cui non celi
la tua violenta conquista del buio.
Haiku primo

Ghiande sul palmo;
nulla, ovunque scorgo
la Differenza.


Poesia vissuta al mattino di domenica 11 ottobre 2009,
nei boschi di Arco.
Dedicata a pf, colui che mi guida verso me stesso.

lunedì 12 ottobre 2009

La liberazione è esercizio quotidiano.

tratto da un manifesto dell'Associazione Antifascista Sempre di Trento

giovedì 8 ottobre 2009

Non so che di mesto nell'aria

Un vago profumo d'oro e d'argento
inebria il mio mezzogiorno deluso.
V'è un'aria mesta di nebbia e di sole
come un'attesa di incerto destino.

Si erge un ostacolo eterno,
si apre un eterno cammino.
Emozioni perdute e nessuna ragione,
soffoca l'uomo nel caldo ottobrino.
Osserva, l'uomo perfetto. Osserva i suoi occhi. Guarda come la palpebra scatta, rapida, all'insù. Ecco. Il bianco della cornea, le sue rosse venature. L'iride ed i suoi raggi, l'imperfezione e la geometria. Il suo colore. La pupilla, nero nero pozzo. Dove? Verso dove? Questo è il limite esterno, di quel che accade dietro la pupilla, meglio non scrivere.

sabato 3 ottobre 2009

Il dubbio, la percezione dell'esistenza di una mancanza, del fatto che il reale non sia "tutto qui", è il primo diamante che l'uomo ordinario destinato a non essere tale può partorire. In questo primo momento il dubbio provoca sofferenza, poiché non vi è un moto verso il colmare questa mancanza, ma solo una constatazione dell'esistenza della stessa. Poi l'eros, nasce il desiderio, che è il miracolo, la miccia che innesca la possibilità di evoluzione. Desiderio di colmare quel vuoto. E' incredibile il fatto che il cosiddetto "vuoto esistenziale" sia percepito come pessimismo! Se c'è qualcosa di triste per davvero è proprio quell'atteggiamento di pieno, dove ogni cosa è perfettamente al suo posto e nulla scricchiola, tutto è coerente ancora prima di iniziare a guardare e quindi si rimane fermi, nell'ordinario. Il vuoto esistenziale è una benedizione e la percezione dell'esistenza di qualcosa "al di là" della siepe del Leopardi è il primo indizio dell'esistenza dell'Infinito.

Tuttavia se non si ha la fortuna in seguito di affilare la lama della propria volontà, l'eros rimane sopito, l'ordinario cerca di smorzarlo per inserirsi nell'unico mondo "visibile"; mentre in realtà è solamente la maledetta mente che ancora una volta castra sé stessa...da questa castrazione nasce tutto il novecento, tutta quella melancolia, come se l'oggetto del desiderio fosse ad un passo eppure invisibile, inebriante profumo d'amore e poi puf, nuovamente realtà di tutti i giorni. La volontà ci permette invece di procedere lungo il cammino e di acquistare quindi gli strumenti adatti per andare oltre e per oltre intendo non solo oltre all'ordinario, ma soprattutto oltre a quello che adesso è il mio limite; intendo tutto quello, quasi tutto, che esiste ed io non colgo.

Mancanza, desiderio di colmarla, volontà di agire, azione e progresso lungo il percorso. La ricerca è la meta, per parafrasare Dogen e renderlo digeribile ai "non addetti ai lavori". Chiudo con un aforisma della tradizione giapponese, rubato di recente dalle pagine di un libro...

Più grande il dubbio, più grande il Satori.

giovedì 1 ottobre 2009

Nero giallo cappello

Naso all'aria!
Ti nascondi all'ombra
di uno scuro cappello,
vistosa stranezza.
Ancora sopra un fiore
ostentata finzione di giallo
e sotto occhi persi,
figurino nero
smagrito e sognante.

Cammina cammina
coi tuoi passi di danza,
quei tuoi ideali distratti
le tue lune a tracolla
ed il tuo giallo fiore di carta
indizio di vita
d'un volto di sole.

Nemmeno mi guardi!
Resta pure, Naso all'aria,
bionda piccina vagabonda
con il cielo nel mezzo,
tra i piedi e la strada.

martedì 29 settembre 2009

Segreti. Fortunato chi ne sente parlare. Valoroso e vincitore chi li cerca e li trova.

- A. Di Terlizzi -
La natura del miracolo è nascosta ai nostri occhi dai nostri occhi. L'esistente è un eterno miracolo che abbiamo imparato a disconoscere. Ci siamo abituati ai miracoli al punto da non essere capaci di riconoscerli come tali, quando essi si manifestano. Il percorso è il tentativo di aprire gli occhi una seconda volta e vedere l'esistente nella giusta ottica e quindi è la possibilità di attuare il miracolo interiore, quello cioè di affinare la propria percezione al punto da poter vedere davvero.

Non è che sia una cosa tanto astratta, questa, fumosa e priva di senso pratico. Ma forse così potrebbe apparire, dato che ad occhi chiusi tutto appare strano, perfino la possibilità di aprire gli occhi. Io non so di quale prova abbia bisogno l'uomo moderno per iniziare a farsi il culo, probabilmente Platone non gli basta, forse non gli basta nemmeno Laozi, prova diffidenza per un Cristo un po' datato (ma quello era figlio di Dio! ... diranno a 'mo di scusa), Seneca in latino non lo legge e su e su, fino ai giorni nostri, senza trovare qualcuno che gli faccia alzare le chiappe e che gli sembri degno di fiducia. Però però...con un fiammifero si innescano grandi incendi, anche incendi d'amore.

venerdì 25 settembre 2009

Riscopro in questi giorni la gioia del passeggio. Cammino per le strade che da venticinque anni mi ospitano, che in silenzio mi guardano crescere. Qual'è l'effetto dato dall'ascoltare musica camminando? E' un piccolo aiuto a scollegarsi dal mondo della materia, le note giuste riportano verso vibrazioni più alte e mi ritrovo leggero. In questo stato osservo quei tentativi unici e buffi di nome uomini. I volti sono le mie scoperte. C'è quello corrucciato, quella timida, quella con la bocca storta verso il basso in una smorfia, quella che cammina spavalda dall'alto dei suoi tacchi e della sua bellezza, c'è il sempliciotto con la sua camminata goffa, il fumatore con l'aria da umo vissuto ed il suo scettro del potere tra le dita...a volte il fumatore ti guarda, perché con la sua sigaretta ha toccato il fondo e quindi può reggere il tuo sguardo. C'è il metallaro, la gelataia che ti sorride e mentre ti porge il cono scopre un enorme tatuaggio che le sale su lungo il braccio pieno di serpenti e teschi, i bambini che giocano in piazza Lodron, ignari di tutto, semplicemente persi tra i loro dondoli a molla e quello scivolo tubolare. Ci sono i genitori che si preoccupano e che si fanno domande sui rispettivi marmocchi, Ma come è cresciuto il tuo!, Ma guarda che bella bimba che sei!, e poi gli adolescenti, inconfondibili e meravigliosi per il loro acerbo approccio alla vita, nel loro pensare o supporre di aver capito, di afferrare la prima moda e la prima personalità che capitano e farne un culto, farne uno stile ed un motivo di vita. Gli adolescenti si baciano, con il loro skate in mano, bevono e fumano, ridono ad alta voce, se ne sbattono, se ne fregano, scherzano là dove per la società non è conveniente. Non sanno ancora che saranno loro stessi a pepetrare le regole che infrangono e che solo per questo gli è concesso, perché sono adolescenti. Passa il matto, la netturbina, il pittore che quando ero piccolo era andato a Scommettiamo Che a fare l'imitazione dei versi degli animali e fischietta, fischietta ancora così come fa da anni. C'è una vecchia in sedia a rotelle con lo sguardo gelido e stretto, perso nel vuoto, smarrito in luoghi che non riconosce, quelli dei sentimenti che ha perso lungo la via e così si guarda attorno, senza domandarsi più nulla, con un sottile strisciante odio verso la vita che non tornerà più, o forse è solo una mia impressione.

E mi sale una gioia inspiegabile in questo, ricolma di esseri umani che vanno e che vengono, dentro e fuori dai loro mondi così differenti dal mio, in cui mi permetto di sbirciare per una frazione di secondo. Tutta qui, la mia felicità mentre passeggio.

giovedì 24 settembre 2009

La felicità è uno strano segreto celato e per sua natura non ha nulla da spartire con il mondo esterno, con il mondo delle cose materiali, né a nulla da spartire con gli altri. Il segreto della felicità si trova dentro, celato nelle pieghe invisibili della nostra mente, dove solamente noi stessi abbiamo il potere di agire, di allontanare una prospettiva di miseria e vivere nella vera ricchezza, come se ci riscoprissimo dentro un Re Mida interiore, capace di trasformare in oro il reale che sfiora con i sensi.

Ma tutto questo non è immediato e non è nemmeno concettuale o comprensibile. E' pura scoperta, puro viaggio al di dentro.

mercoledì 23 settembre 2009

Quello che c'è ciò che verrà
ciò che siamo stati
e comunque andrà
tutto si dissolverà.
Nell'apparenza e nel reale
nel regno fisico o in quello astrale
tutto si dissolverà.

Sulle scogliere fissavo il mare
che biancheggiava nell'oscurità
tutto si dissolverà.

Bisognerà per forza
attraversare alla fine
la porta dello spavento supremo.

- Battiato&Sgalambro -

sabato 19 settembre 2009

Il rombo della cascata Nardis

Il tempo perfetto è concluso. Il tempo perfetto è scivolato giù dall’alto della montagna lungo il ripido pendio di roccia bagnata, caduto, fratturato in infinite microscopiche gocciole d’acqua, in infiniti istanti perfetti, per poi riunirsi in basso, per confluire nuovamente verso l’unica grande direzione. Poiché la legge è una solamente: verso l’oceano. L’unica realtà davvero fondamentale, davvero importante ed al di sopra della nostra stessa comprensione, è la Pratica. Quando essa accade, si realizza, ecco che l’orologio del tempo si ferma ed inizia lo scorrere dell’enorme clessidra di acqua dal rombo di tuono, inizia lo scorrere della cascata. Per questo il come non è importante. Per questo qualsiasi tempo passato vivendo la Pratica e calandosi in essa è il tempo perfetto, poiché il percorso è a noi del tutto sconosciuto e nessun giudizio ha davvero significato, mentre procedere è tutto; porre un piede avanti all’altro lungo lo stretto percorso segnato come la terra ed il cielo entro cui ci muoviamo, quel percorso tra le rocce ed i flutti che segna il confine della nostra Possibilità. Inebriato da questo pensiero riemergo dalla notte alla fine della pratica, le mie braccia cercano la strada al di fuori della mantella bagnata e di fronte al grande mistero della natura giungo le mani e le incrocio al petto: ascolto il mio cuore, ritorno per un istante dove la speranza, la compassione ed il desiderio trovano il loro fisico rifugio e così prego per i maestri, per i compagni, per le persone a me care e per me stesso. Perché, pur nell’incomprensibile gioco della manifestazione, questo tentativo non vada sprecato, perché possa un giorno davvero realizzarsi il principio di luce, pace ed amore che permea i sentieri nascosti dell’Uomo.

Per l’ora e mezza precedente la cascata mi ha avvolto, al di fuori ben poco ha catturato il mio pensiero, solo la sua forza, il suo fragoroso cadere, il contatto tra noi vissuto attraverso quelle minuscole gocce di nebbia che a raffiche forti e deboli si posavano sul mio volto. Sentivo gli occhi gelidi, come vi fosse sulla linea tra le palpebre un minuscolo strato di ghiaccio; sentivo la gola freddarsi ed inumidirsi e più volte ho dovuto lasciare il sigillo delle mani per coprirla. La grande mantella in cui mi sono avvolto era il confine tra l’ambiente esterno freddo ed ostile e quello interno caldo ed accogliente. Dentro vi era un tepore confortevole ed amico, mentre fuori l’umidità conquistava terreno, prendendo un ginocchio scoperto, assaltando il volto e la gola. Silenzio ed osservazione, solamente le reazioni minime per non compromettere il mio stato di salute. Sentivo i pensieri roteare e turbinare nell’acqua, poi quando il vento calava, ecco che nasceva un momento di silenzio: dov’erano andati i rumori? Dov’era la cascata? Silenzio, discendi, attendi, osserva, abbandona le parole, osserva solamente... ... ... ... ed ecco una nuova raffica di vento, acqua e pensieri. D’un tratto apro gli occhi, per una volta soltanto e la guardo. Lì di fronte a me, nella sua enormità e nella mia piccolezza, in quel diafano contrasto con la notte nera delle pendici della montagna. Poi mi accorgo che i miei stati di coscienza iniziano a riaffiorare alla dimensione del reale, richiudo gli occhi e ritorno dentro me stesso.

venerdì 18 settembre 2009

Inno al Desiderio

A sciogliere gli inganni del mondo
una ad una sollevo le tue vesti
e di lusinghe cingo il tuo nudo corpo.

Nella luce delle candele del tempio
vivo il mio inchino al mistero d'unione
che tutto stravolge e sublima.

Ha inizio l'aurora dell'ultimo eros
e spande un piacere nel dialogo
tra gemiti che riecheggiano nel buio.

Ricerco il ritorno alla madre di terra
l'accesso segreto ai femminei reami
la cui porta tu sola custodisci.

E nel pieno richiamo di vita che accoglie
la mia carne si gonfia ed anela
ai tuoi celesti sogni di primavera.

Incrocio le gambe nel sacro sigillo
eretto è il mio membro: trasmuto,
io non più io ma chiave del cielo.

Stretta ti stringo mentre m'avvolgi
quando il mio r incontra il tuo s,
nel non luogo ove terra e cielo s'uniscono.

Umori diversi e liberi nel contatto
insieme solamente s'accordano i corpi
le nostre forme di uomo e di donna.

Salgono, s'afferrano si prendono
si legano svengono e gridano stravolti
esplodono e sfioro così il mistico frutto
dell'orgasmo di spirito e sangue
dell'orgasmo di voci e respiri
dell'orgasmo di menti dimentiche,
disperse senza parole né immagini.

mercoledì 16 settembre 2009

Ogni tanto mi capita di scorrere il cursore lungo i nomi più o meno vicini delle persone che si trovano nei miei contatti chat. Mentre il cursore scorreva qualche minuto fa, mi sono reso conto di come le piccole immagini due centimetri per due che ognuno sceglie per sè stesso nel tempo cambino, mutino a seconda dei eventi che accadono alle persone reali che vi stanno dietro, come a dire "in questo momento della mia vita mi sento più così, rispetto a quella foto vecchia". Così in un quadratino virtuale due per due, ognuno di noi inserisce un piccolo sé stesso e questo sé stesso negli anni crescerà ed invecchierà insieme a noi, diventando sempre più maturo.

Collezionare quelle piccole foto potrebbe significare rubare ad ognuno una fettina della sua storia.

lunedì 14 settembre 2009

Ed eccomi qui, dopo una settimana di dura pulizia casalinga, in cui ho imparato l'utilità di uno sgrassatore ed il ruolo indispensabile dell'anticalcare, sul poggiolo di casa. Ancora senza energia elettrica, procediamo a lume di candela, come ritornati in tempi o luoghi lontani. Solo la connessione internet scroccata a qualche vicino mi riporta nel mondo moderno, alzo lo sguardo e vedo il campanile solitario del Duomo e già mi sembra un po' casa e si sta bene.

Ho rivisto alcune persone che non vedevo da lungo tempo e che mi hanno mostrato come cambia il mondo, come incredibilmente anche la nostra generazione, per qualche genere di miracolo incomprensibile, compie ancora le stesse scelte, quelle che l'uomo compie da quando è nato e forse anche prima. Iniziamo a sposarci, a convivere, a tagliare la cotoletta a nostri figli piccoli e così forse si sta anche meglio, si è più vicini ad una sorta di "arrivo" su cui però tutti spesso d'adagiano.

Vedremo come andranno a finire le cose, vedremo come sarà la mia vita anche. Intanto mi bevo un tè e me ne sto qui sul poggiolo della mia nuova casa che condivido, condivivo, convivo e convivio.

domenica 6 settembre 2009


Il monastero di Reting

Alcuni anni fa, prima ancora di intraprendere il grande viaggio attraverso i mondi, mi trovavo sul fine dell’inverno nel Tibet occidentale. La terra era ancora fredda ed indurita dall’inverno appena passato, lo spoglio paesaggio tibetano riempiva il mio orizzonte con le sue linee semplici e dolci. Camminavo, parte di una breve colonna di pellegrini, per l’ampia vallata senza nome dove in una lontananza che ancora non potevo scorgere, si ergeva il monastero di Reting. La vastità fredda dello spazio semidesertico che mi circondava rappresentava il luogo della dissoluzione dei miei pensieri di uomo, come se tutto l’inutile non potesse incamminarsi lungo quella pista segnata dai passaggi nella terra dura, come se la mia personalità, ciò che ero, non avesse avuto al fine il coraggio bastante per seguirmi in quel viaggio lungo e faticoso, fatto di privazione, di cavolo bollito ad ogni pasto e di passi lenti calibrati sulla presenza rarefatta dell’ossigeno. A quattromila metri quel che rimaneva di me stesso erano solamente gli strati più leggeri della mia persona, mentre il corpo ed i pensieri di ieri erano dietro, abbandonati in qualche bivacco nella luce del primo mattino. Lungo il cammino la nostra lunga carovana di uomini e bestie lentamente si insinuava nella grande vallata, tra i suoi uccelli scuri dalle grandi ali che volteggiavano nel cielo, tra gli yak mansueti che pascolavano alla ricerca d’ogni stelo verde. Ricordo che per un istante mi fermai ad osservare una di queste vacche tibetane, la quale di rimando mi scrutava con una certa curiosità ed in una posizione estremamente femminile. Portava infatti alle orecchie, come gli altri capi della mandria, due nappe rosse che pendevano come eleganti orecchini. Nella posizione frontale, eretta ed elegante, teneva le zampe anteriori vagamente incrociate, come accavallate nel sensuale capriccio di nascondere la propria intimità. Lentamente estrassi dalla borsa la macchina fotografica e mossi con cautela la ghiera prima di scattare; quella si accorse del mio tentativo di imprigionare per sempre la sua bellezza in un ricordo di pellicola e quindi ruotò il capo in direzione opposta, lontano da me, guardando verso il centro della valle dove il resto della mandria sostava. Ripresi il cammino in silenzio.

Davanti a me, dopo circa un’ora, scorsi sulla pendice sinistra della valle una foresta, che si estendeva per un area circoscritta, inerpicandosi su per un pendio. La mia emozione fu grande quando vi penetrammo, il monastero di Reting era vicino e la sacralità del luogo era percepibile nel silenzio di quel bosco di ginepri. Gli alberi nelle loro forme contorte, nelle curve dolci, attorcigliate su sé stesse, svettavano al fine verso il cielo, come centinaia di campanili, come preghiere bisbigliate dalle frasche nel vento. A terra avvolte nelle radici o appoggiate ai tronchi, giacevano enormi massi scuri, maestosi, immobili come la terra, pazienti guardiani dei pellegrini che ormai vicini alla meta gettavano lo sguardo in avanti, alla ricerca del bianco e del rosso, le tinte sgargianti di cui sono dipinte le mura dei templi. Ciò che vi era di profondamente attraente in quelle piante secolari era il messaggio che portavano e che in quel momento non seppi decifrare. Come tutto l’altopiano, come le bestie e come gli uomini, anche quelle piante avevano a lungo combattuto contro l’ostilità dell’ambiente, avevano lottato per raggiungere il cielo e la luce ed infine solo alcune di loro erano sopravvissute, lasciando ampie radure tra una pianta e l’altra. In quel luogo, ormai prossimo al monastero, percepivo in qualche modo la presenza di un mondo oltre quello della materia, oltre a quello delle vane emozioni mondane, oltre ai contorti pensieri di chi vive più in basso: nell’aria, nei ginepri, nei massi e soprattutto nello spazio vuoto riempito solo a momenti dal rumore dei corvi potevo chiaramente percepire una la differenza, la presenza di una verità più profonda e meno labile, quasi eterna forse, in accordo con quel monastero senza tempo. Il mio sorriso ed il mio stupore si fermarono sul verde brillante delle frasche sparute nella luce del tardo pomeriggio, poi giungemmo alla porta ed al bianco muro esterno che segnava il perimetro del monastero di Reting. Eravamo giunti alla meta.

I monaci di Reting ci accolsero come i Tibet è usanza: entrammo in una sala interna con un tetto basso, colonne intarsiate di legno dipinte di colori intensi. Ci sedemmo su una polverosa stratificazione di tappeti di epoche e stili differenti, che perimetravano un basso tavolo in legno massiccio. Offrirono ai pochi membri della nostra carovana bicchiere di tè al burro dolce, che bevemmo con gioia, ben accolto dal nostro stomaco squassato dalla cattiva cucina dei giorni precedenti e dal freddo. In quelle stanze, in quei sorrisi di monaci la cui lingua non potevo comprendere, viveva un grande ed affascinante mistero, come se il mondo cercasse di comunicarmi una qualche evidenza della vita che non era però ancora chiara ai miei occhi, decrittabile e traducibile in pensiero cosciente. Ricordo che, salendo per una scalinata esterna, incontrai un monaco giovane alto ed elegante, avvolto nella propria mantella rosso porpora. Giunto vicino a me si fermò e per un istante ci guardammo negli occhi. Poi da dietro alla sua schiena sbucò in basso una testa lucida, un paio d’orecchie ed uno sguardo curioso, un bimbo sui dodici anni il cui corpo però ancora si confondeva nella sovrapposizione di rossi delle tuniche di diversa grandezza ma dello stesso colore che i due indossavano. Sorrisi loro senza dire nulla. Il bimbo emerse completamente dalla più grande figura del suo compagno e mi prese per mano. Qualsiasi gesto convenzionale, qualsiasi stretta o saluto mi parvero in quel momento superflui e senza significato e preferii lasciarmi trasportare in silenzio in alto verso una porta, poi attraverso la stessa ed altre stanze alcune sgombre e pulite, altre gremite di oggetti di culto, statue, oggetti per i rituali in disuso. Infine raggiungemmo una stanza ampia, ove al centro erano seduti quattro monaci anziani. La scena era illuminata dalla luce fioca di altrettante candele al burro di yak, le cui fiamme si ergevano come immobili e senza fluttuare nell’aria, forse per l’assenza di correnti d’aria, forse in accordo con la quiete che regnava in quel luogo. I quattro monaci anziani sicuramente notarono la nostra presenza ma nessuno di essi interruppe il lavoro cui erano dediti. Non erano immobili, ma muovevano impercettibilmente la schiena avanti ed indietro. I loro occhi erano semichiusi e le loro labbra si increspavano di tanto in tanto svelando l’emissione di un qualche suono impercettibile e ripetuto durante il minuzioso lavoro delle mani. Riuniti intorno allo spazio vuoto innanzi a loro quei monaci avevano da poco definito le linee principali di un nuovo Mandala, tirando alcuni sottilissimi fili di lino da una parte all’altra dello spazio accuratamente scelto per quell’indicibile effimera opera d’arte. Così ora, lentamente e con gesti essenziali si apprestavano a disegnare le prime geometriche linee del complesso disegno ed in questo io li osservavo nel modo in cui avrei potuto osservare con gli occhi il momento della creazione del cosmo, come se il Demiurgo si fosse manifestato attraverso quei quattro corpi e le prime leggi dell’universo intero venissero in quel momento stabilite, ormai immutabili fino alla distruzione di tutto l’esistente ed al prossimo inizio. Quegli uomini in quel momento muovevano le mani con la sapienza e la conoscenza di un dio. Il suono che pronunciavano era l’eco, la vibrazione armonica in cui era immersa la creazione stessa, lo stesso suono muto bisbigliato dalle fronde dei ginepri nel tardo pomeriggio, qualche ora prima. Stetti, immobile in osservazione, assistendo ad un miracolo, ad una metafora concreta che andava oltre ogni mia possibilità, ogni mia aspettativa; una metafora che nemmeno ora alla luce di ciò che ho realizzato è svelata, ma è anzi pregna di un mistero sempre più profondo ed inesplicabile, come se la soluzione si facesse più chiara, ma in questa chiarezza perdesse la possibilità di essere espressa con parole umane. Forse perché quello stesso enigma fatto di creazione, preghiera e distruzione non apparteneva alle cose umane, ma si elevava al di sopra della penombra di quel soffitto a cassettoni affrescato, al di sopra dei tetti piatti del monastero; su in alto, oltre le cime dei ginepri, al di là della volta del cielo, ove lo sguardo dell’uomo giunge solamente quand’egli impara a chiudere gli occhi.

venerdì 4 settembre 2009

Ritorno dalla solitudine

Quando il monaco Vetta-che-Ride ridiscese dalle sue montagne per prima cosa volle rivedere gli amici. Il suo cuore traboccava di una gioia incontenibile, di una esplosione visioni vissute e mai dette ad alcuno, poiché nella propria caverna viveva solo con la compagnia dell'aquila e del serpente. In lui si preparavano come cento primavere riunite, pronte a sbocciare ed a trasformarsi in germoglio, pianta e frutto.

Con questi pensieri ridiscese dalla montagna ed andò a cercare gli amici. Bussò alle loro porte, li rivide e li abbracciò. A lungo parlò con tutti loro e nei loro cuori volle scorgere quali fiori si fossero dischiusi durante la sua assenza ed in questo modo misurare anche se stesso. La sua urgenza non era quella di esprimere la propria visione attraverso affermazioni, ma di esprimerla attraverso domande e da quelle stesse domande si sarebbe potuto scorgere il suo cambiamento cresciuto all'ombra della luna piena, al canto del gufo ed al bramire del cervo. Per vivere nella solitudine Vetta-che-Ride aveva dovuto abbandonare qualsiasi dubbio, qualsiasi insicurezza e nel pianto affidarsi all'unica via, quella che sola avrebbe potuto tenerlo vicino a sé stesso, vicino ai propri compagni e vicino ai propri Maestri. Abbandonando la sicurezza, oltre la paura di essersi sbagliato, il monaco aveva fatto del Cerchio la sua forza ed in quel cerchio, in ogni anello di quella catena egli aveva profondamente creduto, poiché ben sapeva che ogni possibile incrinatura di tale perfetta geometria avrebbe significato anche la sua capitolazione. Ogni giorno pregava per loro ed a loro dedicava il sacrificio vivo della sua Pratica. In quella solitudine egli aveva compreso il Potere nascosto nella fede e nella fiducia e di quel potere si era fatto scudo quando la fame giungeva a tormentare le sue meditazioni; quel potere aveva usato come spada quando i draghi della notte vennero a fargli visita e cercarono di prendere la sua testa. Ebbe paura ma vinse i suoi nemici poiché sapeva di non essere solo.

Nessuno degli amici che Vetta-che-Ride incontrò potevano sapere tutto questo, perché loro ancora non avevano intrapreso la via della montagna e della solitudine e nella vicinanza del villaggio avevano l'occasione del confronto.

Quale il ruolo del Cerchio di Luce nel mondo?
Quale la fiducia riposta nelle mani dei Maestri?
Quale il significato della parola Fratellanza?
Quale il significato della parola Sincerità?
Quale il significato della parola Condivisione?

Queste furono le domande che il monaco pose alle persone che pensava che potessero capirlo e con quelle fu franco, fu completamente sincero e ad ognuna parlò come parlasse a sè stesso, oltre la convenzione sociale che prima viveva ancora tra loro, oltre le proprie paure, esponendo quanto di meglio avesse scoperto nella caverna e non nascondendo le proprie paure e le proprie debolezze. Alcuni vollero spiegarsi ed egli ascoltò. Altri vollero ascoltarlo ed egli parlò. A nessuno nascose nulla, né volle seguire alcuna regola sociale, alcuna forma di rispetto che non contemplasse la sincerità e l'amore che provava per loro. Se alcuni non erano pronti, egli questo non lo capì e questa fu la sua colpa, quella di vivere dell'emozione del ritorno, quell'emozione che vive nella realtà del presente l'antica idealizzazione nata nella lontananza. Alcuni non ebbero orecchie per le sue parole ed allo stesso modo le sue parole non furono abbastanza concrete per penetrare al di sotto della corazza del dubbio di altri. Così alcuni cuori enormi rimasero nascosti dietro alle parole e quand'egli capì, comprese anche di aver commesso un errore. Avrebbe dovuto attendere forse che alcuni dei suoi compagni fossero ridiscesi anch'essi dalla montagna, prima voler toccare il cuore di ognuno e di offrire il proprio in cambio.

Egli tornò alla sua capanna, fece scorrere il piolo di legno che chiudeva la porta, entrò e nella piccola stanza distese la stuoia di canniccio. Si sedette e nel silenzio a lungo rifletté sull'accaduto. Dopo alcune ore un grande sorriso comparve sul suo volto smagrito, come un sorriso che abbracciava la Terra e gli Esseri tutti. Dentro di sé ripeteva non mi sono sbagliato, i cuori di tutti noi sono puri. Lenito quindi il suo dolore, lasciò la posizione e si distese sul povero giaciglio. Quindi si addormentò ed un sonno ristoratore lo purificò dalle fatiche della sua impresa.

mercoledì 2 settembre 2009

Questa mattina mi sveglio con una considerazione amara, ho rispolverato alcuni cassetti e con essi alcuni ricordi. Mi rendo conto, una volta, di avere avuto alcuni amici o almeno persone a cui volevo un qualche tipo di bene, di cui ora non so più nulla.

E' come se foste emersi dalla massa degli sconosciuti per poi ritornarvici, per poi ritornare ad essere volti indefiniti tra i volti. Così, quando tra venti o trent'anni ci reincontreremo per strada, forse anche domani, i nostri cuori saranno l'uno per l'altro come due prugne secche ed invece di battere tossiranno, si spaventeranno, inventeranno falsi sorrisi e banali frasi di convenienza e forse entrambi o solo io, lo sapremo, che non v'è niente di più triste di quello che sta accadendo, ma che non ci si può fare niente, che è così. Mentiremo a noi stessi per salvare le nostre stupide scelte.

Tutto quello che sono, così diverso, così infinitamente più ricco e trasmutato di quello che ero, è proteso a non perdere persone buone lungo la strada, ma tuttavia non dipende solo da me. Io credo anche che alcuni di questi mi leggano qui, chissà che cazzo pensano, mentre leggono, questo io non lo so. Almeno, erano belle le foto dell'Africa? Perché questo è l'importante, le foto dell'Africa, le riflessioni sulla vita e la morte, mentre il rapporto vero tra le persone, quello è opzionale. In questo per me c'è solo amarezza, non ho ancora abbastanza barba ed arroganza per ammettere che non sia anche colpa mia.Vi voglio bene oggi soprattutto perché ci siamo smarriti.

martedì 1 settembre 2009

Scura cattedrale d'abeti

Incomprensibile giara di tenebra
tremula selva di ombre boschive
s'empie la mente del tuo cieco sguardo
e sgomenta si perde nel vuoto.

In quell'ora in cui la notte ti stringe
ella t'avvolge nel suo buio mantello
ed al fine stremato ti accoglie
nella immensa sua cattedrale d'abeti.
Nella notte ritorno a casa, dopo un incontro tra signori, dopo un incontro tra persone che ancora possiedono la possibilità e si apprestano a fare il possibile per raggiungerla. Quattro persone agli angoli della terra, come gli arcangeli, come i punti cardinali.

lunedì 31 agosto 2009

Seduto sul letto in cui ho dormito per tanti anni, quello della casa che è sempre stata mia anche se ho voluto lasciarla, metto in fila gli eventi, ripenso agli ultimi giorni, alle sfumature di questo mio ritorno, a ciò che ho gradito davvero ed a ciò che mi ha lasciato perplesso. E' l'attenzione ai piccoli dettagli che porta in seno il significato della differenza; non è una frase mia, almeno nel significato. I piccoli dettagi nelle persone, la piega degli occhi, la qualità del sorriso, il tono della voce. Ho raccolto una massa di informazioni contorte e criptate e forse il tempo mi darà delle soluzioni o almeno ulteriori indizi.

La mia gioia è stata grande, il ritorno, quel primo punto di contatto, è un momento grande per chi arriva e per chi riceve, solo un minutino, solo un primo saluto, poi è già tutto come prima, almeno in apparenza.

La città è qui, sotto ai miei piedi ed ora esco, scendo giù e muovo qualche passo in questa realtà di porfido duro come la carta.

giovedì 27 agosto 2009

Qui in Mozambico, in tantissimi minuscoli piccolissimi addomi di zanzara, lasciamo il nostro sangue. Per l'ultima notte ho ascoltato quel ronzare ossessivo che sempre s'è mischiato coi sogni, per l'ultima notte ho agitato in aria le mani e la testa nel buio, nella vana speranza di scacciarle. Ecco, ogni piccolo oggetto trova il suo posto nella logica semipianificata del bagaglio. Abbiamo un batouk da cinque chili di troppo, chissà se riuscirà a ritornare con noi. Ho sei bottiglie piene di terra ed altrettante ne lascio qui nelle mani dei prossimi uccelli migratori fuori stagione. Spero che del sangue offerto al mondo animale si faccia buon uso, che ne venga fuori qualcosa di buono per l'Africa, che non sia solo malaria, fame, aids e povertà.


mercoledì 26 agosto 2009

Nella luce piena del pomeriggio Beira assume i colori dell'addio, del forse a mai più, in una emozione in cui si mescolano i ricordi già vissuti e la vita che pure qui continuerà, la vita che non potrò cogliere, la vita mozambicana senza il mio sguardo su di essa. La spiaggia sporca, il mare sporco, i corvi da spazzatura che volteggiano nell'aria, tutto assume la prospettiva dell'abbandono e si riempie di un non so che di indefinito e vivo, reale, come se il mondo fosse più denso in quest'angolo di terra. Domani si riparte, domani incomincia il lento ritorno in Italia di due giorni, mi apro al nuovo che verrà come nell'alba di un nuovo giorno, come pieno di speranza, come pieno di attesa e desiderio di vedere quale sarà il prossimo capitolo di questa specie di storia a puntate, che è la mia vita.

martedì 25 agosto 2009

Dialogando con le persone più disparate spesso vengo a contatto con un certo tipo di rassegnazione, di sfiducia nel futuro. La crisi è ovunque, palpabile, soprattutto una perdita di valori, di prospettive, come se al di là di qualche anno non vi fosse futuro, come se la nostra società fosse vecchia al punto che sia destinata a morire di qui a poco. Nelle persone non più giovani questi atteggiamenti forse ci sono sempre stati, ma sembra ora che siamo noi, siamo la mia generazione a non saper che cazzo fare della vita, come se fosse un peso, come se fosse difficile e non solo, impossibile anche, trovare una via per essere felici, liberi, soddisfatti anche da un punto di vista etico, come se l'intolleranza, la xenofobia, l'egoismo siano destinati a prevalere; quasi che gli stupidi debbano inevitabilmente prendere il sopravvento. Non serve andare oltre, quest'aria la respiriamo tutti o quasi.

A questo contrappongo il mio ottimismo, la mia speranza, la possibilità che intravedo tra le maglie del tempo. Il buono, il giusto, l'etica, la scienza, la felicità e la libertà non sono destinati a scomparire. Intorno a me, se solo spengo i "rettangoli per il lavaggio del cervello", le persone che crescono non sono stupide, non sono nani, ma giganti. Sono persone che un giorno o l'altro sposteranno le montagne se riusciranno a comprendere la loro forza ed a smettere di lagnarsi (alcuni già hanno smesso). A noi ce lo dicono, ce lo fanno credere che va tutto male e che siamo impotenti, e forse va tutto male, ma non saremmo impotenti per sempre, poiché prima o poi accadrà qualcosa e bisogna solamente stare attenti e rimanere puri al di dentro, per poter cogliere quei segnali una volta che saranno evidenti. Esiste la possibilità di un cambiamento. Quanto mi sono rotto delle persone che si piangono addosso!

Ma non è ancora tempo per questo, forse però inizia ad essere tempo per affermare che un cambiamento è possibile, lo è, e quindi, ognuno con le proprie capacità, può iniziare almeno a vivere nell'ottica di essere persone migliori, di vivere nel meglio di sé stessi, per poi agire quando sarà possibile. Bisogna ripartire dalle persone. Ognuno da sé.

Il tempo mi darà ragione?

giovedì 20 agosto 2009

La diarrea e´un compagno di avventure davvero spietato. Ti coglie quando meno te lo aspetti e nel giro di pochi secondi realizzi di avere un dolorino alla pancia, forse di dover fare una scorreggina (si puo' scrivere scorreggina su un blog?), che sicuramente sia il caso di cercare un bagno, ed alla svelta, o mio dio, dannazione, oh no, ti prego aspetta, ti prego ancora trenta secondi, merda, sono spacciato! In somma una serie di aperture subitanee e serrate verso la consapevolezza della propria situazione intestinale.

E sapete perche´scrivo di questo? Perche´qualche istante fa avevo iniziato un post sull' interessante impianto portoghese di Maputo, dove sono, sul paradosso riguardante il fatto che cio´che di bello c'e´in una citta´come questa e´merito di chi ha sottomesso e schiavizzato...e tuttavia ecco, non riuscivo a concentrarmi a causa delle mie urgenze intestinali.

Un moto di sincerita´, in poche parole.

domenica 16 agosto 2009

L'emozione del ritorno a Beira, il rivedere persone amiche, volti noti, il pigiare pulito e sonoro della mia personale tastiera per portatile, dopo tredici ore di viaggio massacrante. Ma siamo di ritorno e stasera si mangia pesce per festeggiare, in barba al mal di pancia che si affievolisce.

Ecco il primo ritorno. Quello in Mozambico.

sabato 15 agosto 2009

Tra le regole base che ci vengono spiegate in caso di incontro ravvicinato di un elefante, la prima e´stare calmi e lentamente, senza voltarsi, camminare indietro o verso un riparo, guardando l'animale per vedere quel che fa. Se barrisce o agita orecchie e proboscide ci vuole solo spaventare, quando invece ha la testa bassa e le orecchie piegate, meglio correre: e´una carica vera a propria.

Vi confesso che, quando alle cinque e trenta di mattina assonnato esce dalla tenda per andare a lavarsi i denti, non e´che il cittadino italiano medio si aspetti di vedere una madre con piccolo, due massicci pachidermi grigi, scorrazzarli davanti a due metri di distanza. Quindi insomma, ho fatto tutto al peggio: mi sono voltato e spaventato sono corso alla tenda, con agitazione ho cercato di aprire la cerniera senza riuscirci e mi son detto "che coglione". Poi mi sono voltato a vedere quello che succedeva. Per fortuna madre e piccolo non erano interessati ai miei stupidi comportamenti da bianco inesperto. Bellissimo.

Il South Luangwa sono stati due giorni di emozioni spudorate, di stupore, di sorpresa. Il ruggito del leone mentre divora la cena, mentre strappa a morsi le interiora di un puku, nella notte, con le iene che ti guardano da dietro la macchina, in attesa della loro parte. L'eleganza della giraffa, la sua slanciata e femminile bellezza a chiazze.

Forse forse, tra qualche giorno, le foto. Spudorata bellezza di natura.

domenica 9 agosto 2009

Alla Lilongwe Wildlife Reserve vi sono alcuni animali tenuti in cattivita' in grandi aree recintate ed elettrificate. Questi animali sono tutti ammaccati, tenuti insieme con la colla, portati qui solo quando in altri posti non potevano piu' stare, per non parlare del loro ambiente naturale! Non sanno nutrirsi da soli, cacciare e' un concetto a loro del tutto sconosciuto. Passiamo ai dettagli.

C'e` una leonessa di nome Bella, tornata da cinque mesi dalla Romania, dove se ne stava in uno zoo. Bella e` parecchio bruttina, soprattutto perche` guercia da un occhio. Se ne sta appisolata tra gli alberi, la nostra guida tira una pietra al di la` della rete per svegliarla, ma Bella non fa una piega. E` un gattone. Dorme e forse farebbe le fusa. Sogna il numero dei cerchi infuocati al circo itinerante rumeno.

Poi c'e` un leopardo con il ginocchio rotto, che non puo` correre, ferito sul Nykya Plateau e portato qui. Due condor con le ali spezzate che possono permettersi voli di massimo qualche metro, da terra al primo ramo dell'albero cresciuto nella grande voliera che li ospita. C'e` un coccodrillo maschio di quattordici anni che non sara` mai rilasciato in natura perche` l'unica cosa che sa mangiare e` il pollo e non sa ucciderlo, devono accopparlo prima senno` non lo mangia. A lui la carne viva gli fa ribrezzo, e` un coccodrillo di citta`, dopotutto.

Le scimmie ed i babbuini sono invece stati riportati da Israele con un programma di reinserimento di animali esportati all'esterno abusivamente. I babbuini sono stati tutti castrati perche` si teme che diffondano, accoppiandosi, malattie contratte oltre il mar rosso. Quattordici babbuini eunuchi....un'immagine esotica.

Gabriel infine, la nostra guida, fa questo lavoro gratuitamente, nella speranza che prima o poi o molto poi lo assumano e gli paghino uno straccio di stipendio. Ha studiato giornalismo a Blantyre...non ci chiede la mancia e gli offriamo una fanta passion fruit come ricompensa.

giovedì 6 agosto 2009

Lilongwe, Malawi, la dolce semplicita' della citta', dell'avere le cose a portata di mano, del poter andare a mangiare qualcosa all'indiano sotto casa, del riprendere un po' i contatti con il mondo civile, del comperarsi qualcosa al supermercato. Stiamo vivendo un particolare momento, da questa parte del mondo, una parentesi temporale che separa questa vita africana gia' trascorsa dal futuro pieno che ci aspetta al ritorno. Una parentesi temporale che si esplicita nel viaggio, nel safari a cui prenderemo parte nei prossimi giorni in Zambia, non lontano da qui, che si conclude con il ritorno in Mozambico: un ritorno che precede il ritorno vero e proprio.

Domani le fotografie di queste ultime settimane.

domenica 2 agosto 2009

L'Ilala non e' solamente una nave, e' il ventre metallico a cui uomini e cose legano il proprio destino, e' l'unica possibilita' per tutta una popolazione costiera ed insulare di commerciare, di spostarsi, di sopravvivere. Sulla spiaggia dell'isola di Likoma, insieme a noi nel buio pesto delle sette di sera, ci sono due o trecento persone, tutte accalcate, tutte in attesa con i loro enormi bagagli. La nave e' ancorata nel golfo, il suo profilo e' disegnato dalle innumerevoli lampade luccicanti nei riflessi del lago e le persone vi salgono grazie ad una scialuppa che fa la spola con la spiaggia. Questa scialuppa porta a prua l'ironica scritta ''22 person'', come a tentare di stabilire il numero massimo di esseri umani trasportabili per volta. Ironica perche' per ogni tragitto ne salgono almeno una quarantina o piu', stipati, assieme ai propri sacchi pieni di pesce secco, alle galline, a delle casse contenenti chissa' quale preziosa organica merce. Tutti su, insieme, alla rinfusa ed una volta raggiunta la nave, nell'instabile equilibrio tra il bordo di una piccola imbarcazione ed una scaletta di metallo, tutti giu', catapultati da qualche misteriosa forza sconosciuta nel ventre dell'Ilala. Una follia pvs, una forza irrazionale di persone le une sulle altre, accatastate, tutte alla ricerca di uno spazio libero. Noi emergiamo dal caos, galleggiamo verso il ponte alto, dove troveremo spazio ed aria per sopravvivere alle dodici ore di viaggio notturno. Ma i malawiani, eccetto per una piccola ricca percentuale, rimangono sotto, rinchiusi e in attesa.

Si spostano, questi uomini donne e bambini, per tutto il grande lago Malawi, alla ricerca di cibo, commercio e denaro. Sono centinaia, poverissimi, eppure migranti, come uno scuro sciame d'api in volo nella scura notte africana.

Poi, alle cinque del mattino mi sveglio e il sole sorge rapido, esce dall'acqua con quel suo colore rosso smorto e i primi raggi freddi. Inizia la giornata e dopo poche ore l'Ilala attracca a Nkhata Bay. Terra ferma.

lunedì 27 luglio 2009

Dal soffitto gocciola dell'acqua. Gocciola qui, proprio sulla mia mano destra, in questo internet cafe moderno. Disturba le mie parole, ma non va poi male dopotutto. Sono giorni di grandi peregrinazioni ormai vicinissimi al lago Malawi. Leggo Kapuscinski e rivedo le mie avventure di viaggio presenti e passate, come qualcosa di facile ed a portata di mano. L' Africa non e' un luogo remoto e lontano, ma accessibile a tutti, se si e' disposti a qualche piccola scomodita'. Non ci sono piu' vuoti, luoghi sconosciuti e non mappati. Conradiani bvuchi bianchi nel centro del cuore negro.

Nao faz mal. C'e' molto ed altro da vivere.

venerdì 24 luglio 2009

Fin qui tutto bene. Anche se un tizio stamane ha cercato di trapparmi cinquecento meticais di mano! Il poliziotto che correva lento per cercare di beccarlo, un po' controvoglia. Buffe scene da grandi citta`.

sabato 18 luglio 2009

Notturna

Nera grazia di corvo
ruvida croce di rovo.
S'ode un grido muto
rinchiuso
nel grigio ventre di terra,
un rancore rappreso
che offusca lo sguardo.

Grande gorgo abissale
che tutto svuoti e trasmuti,
sei il cancro del giorno
l'amaro frutto del cielo.

Disperazione
dell'estremo nonsenso.
Ieri sera grande festa di despedida. Una trentina di persone, quasi tutte urbiache. Salvador che canta una canzone di Ramazzotti in pseudoitaliano, pizzicando a casaccio le corde della chitarra. Un sacco di risate, un tavolo grigio, né bianco né nero, una grande commistione di persone differenti. Una serie di video imperdibili di gag esileranti.

Le persone mi e ci salutano, sono affettuose e mostrano il meglio di sè. Una bella atmosfera nell'aria, una atmosfera allegra. Sono pronto a partire a dimenticare tutto un'altra volta ed a riprendere il cammino.

Apro la mano.

giovedì 16 luglio 2009

Oggi l'umore è come una bottiglia di sciampagna appena aperta, come in quell'attesa di riempire il calice, brindare e bagnarsi le labbra. Sono contento. Dicono che i blog dove le persone descrivono i propri stati emotivi siano destinati a non avere successo, a non avere fama ed utenti. Fama ed utenti virtuali, numeri e statistiche. Che ridere, roba da spisciarsi.

Tony qui, il bambino di strada senza genitori che l'anno scorso si è fatto Caia-Maputo (2000km) in autostop a undici anni, chiedendo un passaggio ai camionisti ed è tornato qui dopo otto mesi, ecco, Tony si mangia un pezzo di pizza a scrocco, qui al Consorzio. Spiegategliele voi le statistiche su un blog. E' un tipo sveglio, capirà di sicuro.

Rido, rido a crepapelle per gli pseudoproblemi della vita. Non è una risata d'arroganza, ma una risata di buon auspicio, che scaccia tutto il pianto e la disperazione e lascia solo le cose buone. La vita è una barzelletta...a qualcuno piacciono gli sturmtruppen, ma non so, forse è anche più ironica di così!

mercoledì 15 luglio 2009

martedì 14 luglio 2009

Io vorrei riportare l'essere umano alla sua naturale dignità, se possibile. Così come ricordo di avere vissuto, troppe volte ho condiviso il pensiero di essere un animale, senza considerare di essere un essere umano. Troppe volte ho pensato di essere il parente prossimo di una scimmia e troppe poche volte di avere dentro di me le qualità di una stella. E questo vale per tutti, a livello di atteggiamento di pensiero. Temo che, a forza di considerarci animali, lo diventeremo veramente. Ridendo di quelli che pensano all'uomo come qualcosa di più alto.

Cosa significa, davvero, essere un essere umano?
Lunghi capelli e l'età del Cristo (Parte 3 di 3)

“Un poeta, vorrei diventare” ripeteva a volte. Ed io che ero un poeta sapevo che non lo sarebbe mai diventato, che non si può diventare niente e che anche se avesse cercato di impugnare una penna, la poesia che pure vedeva nel mondo non sarebbe uscita in parole, in lettere, in rime anche malconcie. La sua poesia era destinata a rimanere negli occhi. Io da parte mia, essendo di qualche anno più piccolo, domandavo soltanto. Gli chiedevo questo e quello ed a volte nel bel mezzo di un discorso del tutto normale infilavo una domanda spregiudicata, volta a esplorare l’interno di quel mondo. Quelle volte si fermava silenzioso, sospeso nei propri pensieri, mi sembra di rivederlo, e stava in silenzio per un tempo lunghissimo, un tempo che avrebbe messo in imbarazzo chiunque se sottoposto a quei penetranti occhi inquisitori. Io rimanevo lì fermo, non distoglievo lo sguardo ed aspettavo. Le risposte il barba le aveva. Ma quel mio sostenere e ricambiare era anche un intrusione, era un voler sbirciare dentro la sua feritoia e quando non me lo voleva permettere scoppiava in una risata sonora, portando il busto e le spalle chiuse in avanti, quasi in una contorsione degli organi interni. Se decideva di rispondere invece si faceva serio e si esprimeva in modo cristallino e voce profonda, scandendo ogni sillaba. Poi prendeva il bicchiere nella mano destra e lo vuotava. L’ultima sera che lo vidi iniziò a parlare proprio dopo aver vuotato il bicchiere. Disse soltanto “Sono stanco, amico, di queste nostre camminate senza meta, di queste sere. Il mio passato l’ho perso, il futuro non lo vedo e per quanto riguarda il presente, di questo presente non so che fare.” Rimasi offeso, abbassai gli occhi. Mi sentivo ferito, come se fossi da quel momento anch’io un uomo come gli altri, di quelli uomini che non riusciva a guardare se non con superiorità. Poi guardai dentro di me. Anch’io mi sentii stanco, come se ciò che avremmo potuto dire da quel momento in avanti non sarebbe stato altro che un ricamo, un giro di parole nato dall’esigenza di riempire un vuoto. Come se la fonte da cui traevano spunto le mie domande, le mie incursioni in quel suo mondo fatto di bevute e falegnameria, di storie di paese con strani finali, fosse d’un tratto venuta a mancare, seccata al caldo sole di fine agosto. “Hai ragione, vecchia barba.” Il nostro era un addio. Mi alzai dal tavolaccio di legno grezzo e mossi alcuni passi fino al bancone del locale. Feci per pagare, ma il barista mi informò che il conto era stato saldato in anticipo, quella sera. Mentre lo diceva fece un impercettibile movimento del capo, sguardo basso, in direzione del mio compagno. Mi voltai verso di lui, sollevai un braccio e lui mi osservò immobile, come morto, tranne per quel fuoco negli occhi. Uscii e camminai nell’aria della sera, quasi mi pareva che fosse stato solo un peccato d’orgoglio di due uomini deboli, il nostro addio e decisi che il giorno dopo sarei tornato all’ospedale a prenderlo. Lui, davanti all’entrata del grande ospedale, non c’era. Entrai e mi informai se per caso quell’uomo in carrozzina non fosse già passato di lì o non avesse per caso ritardato di un poco negli esercizi di fisioterapia. “Sa una cosa?” iniziò l’infermiera “Ha chamato nel primo pomeriggio dicendo di essere miracolosamente guarito, dicendo di annullare tutti gli appuntamenti, dicenndo che d’ora in avanti solo la montagna sarebbe stata la sua cura...rideva di gusto...non so che dire.” “Nemmeno io.” le risposi. Nemmeno io ho la risposta.

The End.

Dedicato a Stefano, con l'augurio che nulla si avveri e presto ritorni a quei suoi balli sgangherati.