venerdì 8 gennaio 2010

La macchia (parte 3 di 3)

Solo Giancarlo in quella scena dai contorni sfocati mantenne una certa calma, ritornò in soggiorno ed esaminò meglio l’interno del caminetto, ormai violato rifugio natalizio. Con circospezione guardò alla pietra sporca, ai pochi regali che, posti in un angolo, non erano stati contaminati da quello strano morbo liquido e poi vide dall’alto, ploc, cadere una goccia scura e precipitare densa in basso. Ruotò la testa e guardò verso l’alto e scorse, tra i pannelli di polistirolo che isolavano il camino, una piccola fenditura dove, toccando con indice e medio percepì un viscidume antipatico. Ritrasse la mano e con il pollice si strofinò i polpastrelli: quella era l’origine di quella spaventevole macchia. Ciò che accadeva quella sera al di sopra di quei pannelli, era un evento ordinario. Nei giorni precedenti aveva piovuto molto e per il vento dell’acqua si era infiltrata lungo le pareti della vecchia canna fumaria, sottraendo alla pietra alcuni strati di fuliggine vecchia di secoli, che mischiandosi con la pioggia aveva dato origine a quel denso liquido, poi colato all’interno del caminetto. Tuttavia, quello che l’uomo poteva vivere al di sotto di quei pannelli, all’interno di una realtà differente fatta di momenti di lucida razionalità alternati a grandi pause di incoerenza e sentimenti gettati alla rinfusa, era una scena ben meno chiara. Sembrava quasi che un Babbo Natale fosse disceso nel camino con il suo sacco pieno di doni e che fosse rimasto intrappolato in qualche antico strumento di dolore, messo lì per chissà quale motivo, e che il suo pianto, il suo sudore nel tentare di risalire e riprendere il suo corso ed il sangue rossastro, sgorgato dalle ferite della discesa in quello strettissimo inferno, si fossero mischiati con la cenere e fossero scesi giù, oltre ai pannelli, mentre l’ignara famiglia Schelfi era ancora tutta presa a contemplare piccolo schermo. Questo sembrò a Giancarlo e sebbene sapesse che quella sensazione non potesse avere alcun senso, gli rimase addosso una certa nausea di inspiegabile. Ploc, un’altra goccia. Mentre in bagno Liliana lavava e rilavava il suo maglione, mentre cercava di pulire quei piccoli cuori di lana colorata dalla macchia ed il proprio dall’impronta delle sue ansie riemerse in quello sfortuito accadimento natalizio, Roberto e Giancarlo in salotto discutevano sul come e sul perché ed alla fine convennero che doveva trattarsi di una infiltrazione dovuta alla pioggia intensa degli ultimi giorni, una infiltrazione che, seppur strana e del tutto eccezionale, non poteva avere altra spiegazione. Era la prima volta, dacché la famiglia Schelfi abitava in quell’appartamento, che accadeva una cosa simile e proprio la sera di Natale, dell’unico anno in cui mamma Liliana aveva deciso di non fare l’albero e di optare per un Natale più semplice. Una infiltrazione certo, ma un caso ben raro!, Ripeteva Giancarlo al padre ed a sé stesso, Un caso ben raro! Anche mamma Liliana ed i fratelli, salvato il salvabile nel bagno di casa, ritornarono in soggiorno con i regali recuperati dal nero, tranne il maglione di cashmere, che se ne rimase solo sullo stendibiancheria ad asciugare. Il suo futuro era incerto. Se fosse rimasto l’odore di fumo, Liliana lo sapeva, il maglione sarebbe stato irrecuperabile. Ritornarono con loro un paio di guanti, la felpa di Giancarlo, un astuccio d’alluminio con due penne, una confezione ancora sporca di un profumo e qualche altro oggetto. Persi i pacchetti ognuno disse di chi fossero i regali e per chi fossero e quindi vennero distribuiti rapidamente. Gli animi di tutti si rasserenarono un poco. Un caso strano, rifletteva papà Roberto, ma possibile, possibile, sicuro! e con al sua autorità convinse tutti. Poco a poco ognuno si stancò di rigirare tra le mani i propri doni e verso le una e trenta i fratelli minori di Giancarlo già spegnevano le luci nelle loro stanze, mentre lui ormai solo leggeva il primo capitolo di un libro di racconti regalatogli. Roberto russava nella sua paterna tranquillità, mentre nel buio della loro stanza, mamma Liliana ancora sveglia tendeva l’orecchio ad ogni piccolo suono e proprio mentre stava per chiudere gli occhi udì chiaramente ploc ploc, di là, in soggiorno. Ancora la macchia nerastra non aveva cessato di cadere, ancora sporcava la pietra del caminetto. Ancora gettava ombra sulla propria inquietudine di quel dicembre assai diverso da quelli passati e si augurò, mentre ancora scrutava il silenzio inconsueto ed i rumori abituali, diverso anche da quelli futuri. Ploc ploc, nuovamente cadeva una goccia scura.

The End.

1 commento:

Arianna ha detto...

Mi è piaciuto! Bravo! :-)