sabato 3 maggio 2008

Ricordo la sera in cui, fuori dall'uscio ogni cinque minuti, aspettavo il tuo arrivo, amico mio. Una lunga mezz'ora di ritardo, nella speranza che tu arrivassi, nella speranza che tu non mi tradissi un'ultima volta. Una mezz'ora per capire che non saresti venuto, che ancora un volta, nonostante le mie parole, tu non avevi capito. E' stata una mezz'ora come le altre, eppure, sceso in cantina, in quel luogo ho abbracciato i miei amici ed ho ringraziato le loro esistenze per essere lì. Tu non eri tra quelle mura. Mi hai abbandonato e questa ferita non può rimarginarsi senza spiegazioni, nel silenzio. Non tutte le fratture si calcificano nel tempo.

Cosa abbiamo vissuto di valido? Cos'erano le serate a giocare a poker, il picchiarsi ubriachi alle Albere, le chiacchiere nella notte sugli animali deformi, il prendere il sole al lago, le passeggiate in montagna. Cos'era quella sincerità nuda che mi hai insegnato? Cos'era Villa Rosa, le mie confessioni, le tue paure e i tentativi di aprire l'inferriata di una finestra per rottura a fatica usando un bastone di legno? Come hai potuto non capire, pablito mio, cosa buttavi in quella mezz'ora?

Mi manchi oggi e mi mancherai in futuro. Anche quando saremo assieme in terre lontane, saremo estranei. Ed avremmo potuto non esserlo, avremmo potuto essere amici. Perché, se ti conosco, tu non muoverai mai un passo in questa direzione. Sin troppi anzi ne hai mossi lontano da me, mentre cercavo di avvicinarmi.

Perdona lo sfogo, dentro non voleva rimanere.

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