domenica 24 maggio 2009

Le mirabili scoperte di cuore del dottor Bazzoli (Parte 3 di 3)

Si stupirono gli studenti, nel vederlo arrivare in ritardo e trafelato, alcuni minuti dopo i ritardatari. Ma non disse nulla, si sedette e per un attimo ebbe intenzione di riprendere il filo delle proprie lezioni. Non era dell’umore per le interrogazioni o forse non era dell’umore per insegnare la filosofia. Nella borsa, come incandescente, vibrava quella raccolta di poesie, la sfilò dall’interno senza dire nulla e lesse. Ognuno sta solo sul cuor della terra, trafitto da un raggio di sole. Si fermò, sorrise. Non era ancora sera dopotutto, non era il caso di continuare. Lo prese però una gioia strana, guardò verso gli studenti attoniti che scomposti si giravano in avanti ed indietro verso i compagni, gettavano a lui una occhiata fugace nel bisbigliato silenzio che era calato a seguito di quell’azione senza significato apparente, temendo fosse un tranello, un altro tentativo di inserire un segno positivo o negativo vicino al nome di qualcuno. Il dottor Bazzoli, vedendoli così impacciati, scoppiò in una risata sonora, e la sua voce greve risuonò e rimbalzò tra le pareti della piccola aula al secondo piano dell’edificio. Scusate, disse, oggi è un giorno differente, ogni minuto scorre come nuovo, vive di una nuova luce. Mi rivolgo a voi come non avrei pensato. Ma adesso, arrivederci. E così detto stette in silenzio. Nel parapiglia generale, mentre alcuni ragazzi ridacchiavano, si picchiettavano le meningi con il dito indice, altri ancora stavano immobili ed i loro volti disegnavano un enorme punto interrogativo, che non avrebbe avuto risposta. Il dottore, così amava farsi chiamare, si alzò di scatto, come spinto da una molla posizionata sotto le natiche e a grandi falcate uscì dall’aula, poi dalla scuola e vagò, vagò per le vie euforico, emozionato, osservando gli uomini e le donne in strada, chiedendosi cosa diavolo gli stesse capitando, ma senza paura, come se il mondo avesse deciso naturalmente di svelargli il nuovo ed egli lo accogliesse senza riserve o dubbi. Stette per ore in un parco cittadino, sorridendo e guardando fiori ed alberi, come un bambino osservava i bambini, poi seduto su una panchina apriva la borsa di pelle scura, ne estraeva di tanto in tanto il libro di poesie, leggendo qualche verso. Dentro il suo cuore si apriva a mondi nuovi, sentiva, percepiva la fine del suo eterno inverno interiore e l’inizio di una fase nuova, senza possibilità di errore. Poteva percepire intensità emotive tali che il temette che il suo fragile petto avvizzito potesse spezzarsi nella pienezza di quella realtà; rischiò di perire di crepacuore così come un assetato nel deserto rischia di morire non di sete, ma d’acqua, nel berne in grande quantità dopo una lunga astinenza. In questo stato il dottore giunse al tramonto, ancora nel parco, e quando si sentì davvero sommerso da ciò che vedeva chiuse repentinamente gli occhi ed allora furono i suoni che lo invasero, ogni rumore anche impercettibile tuonava nelle sue orecchie come il rombo di un aereo, lo spezzarsi di un ramo, il rimbalzare di un pallone. Provò a premere le elici con gli indici, per tapparsi le orecchie, ma già i profumi lo assalivano, e li riconosceva tutti, tutti insieme eppure uno ad uno. Conosceva i loro nomi. Al fine si arrese, adagiò le mani sulle cosce e riaprì gli occhi nell’ultimo chiarore del giorno, mentre da dietro al cielo comparivano le stelle e il bagliore della luna non ancora sorta. La temperatura scese un poco, ma lui ebbe caldo, si tolse la giacca e rimase nel biancore della camicia indossata, sotto il biancore della notte, fino a quando verso le quattro del mattino, seduto ancora su quella panchina, iniziò a piovere. Bevve ogni istante di quella notte come un bicchiere di vino perfetto, gustandone le sfumature e l’armonia d’insieme, e con la pioggia iniziò, anch’egli a piangere a dirotto, come se tutta le immagini che si erano stratificate in quella giornata, dalla letizia mattutina al maremoto emotivo della sera, si rimescolassero, sottosopra, nel baule ricolmo di tesori dei suoi ricordi. Con le ultime forze che gli rimanevano, prima di essere sopraffatto, riaprì la raccolta di poesie ormai fradice e lesse, Ed è subito sera, queste parole solamente. Si sentì solo, si sentì sul cuore della terra e si sentì trafitto dal primo raggio di sole del mattino, ed anche se, diamine, era l’alba, in quel momento preciso tramontarono le sue facoltà mentali, il cuore prese il sopravvento e piangendo commosso si liberò da tutte le paure, da tutte le astrazioni, da tutti i limiti della mente umana. Si alzò in piedi, ma non era più lo stesso: se ne andava, mezzo storto, con le gambe un poco piegate, facendo attenzione ad ogni passo, storcendo i piedi verso l‘esterno in una innaturale rotazione della caviglia. Aveva le braccia proiettate in avanti ed in quella chiara mattinata di primavera le mani si erano trasformate in scandagli, simili alle antenne delle formiche. Sul volto del dottor Bazzoli albeggiava un sorriso a ventotto denti, quelli del giudizio soltanto mancavano all’appello: li aveva definitivamente persi durante la notte.

1 commento:

Giacomo ha detto...

mi strappi un sorriso a trentadue denti carissimo.
Grande storia, densa di significato, scritta bene, scorrevole, a tratti divertente, ilarica, a tratti intensa e profonda.
Alti livelli secondo me.
Bravo, grandi progressi.
(devo andare in Africa anch'io per migiorare?)