sabato 19 settembre 2009

Il rombo della cascata Nardis

Il tempo perfetto è concluso. Il tempo perfetto è scivolato giù dall’alto della montagna lungo il ripido pendio di roccia bagnata, caduto, fratturato in infinite microscopiche gocciole d’acqua, in infiniti istanti perfetti, per poi riunirsi in basso, per confluire nuovamente verso l’unica grande direzione. Poiché la legge è una solamente: verso l’oceano. L’unica realtà davvero fondamentale, davvero importante ed al di sopra della nostra stessa comprensione, è la Pratica. Quando essa accade, si realizza, ecco che l’orologio del tempo si ferma ed inizia lo scorrere dell’enorme clessidra di acqua dal rombo di tuono, inizia lo scorrere della cascata. Per questo il come non è importante. Per questo qualsiasi tempo passato vivendo la Pratica e calandosi in essa è il tempo perfetto, poiché il percorso è a noi del tutto sconosciuto e nessun giudizio ha davvero significato, mentre procedere è tutto; porre un piede avanti all’altro lungo lo stretto percorso segnato come la terra ed il cielo entro cui ci muoviamo, quel percorso tra le rocce ed i flutti che segna il confine della nostra Possibilità. Inebriato da questo pensiero riemergo dalla notte alla fine della pratica, le mie braccia cercano la strada al di fuori della mantella bagnata e di fronte al grande mistero della natura giungo le mani e le incrocio al petto: ascolto il mio cuore, ritorno per un istante dove la speranza, la compassione ed il desiderio trovano il loro fisico rifugio e così prego per i maestri, per i compagni, per le persone a me care e per me stesso. Perché, pur nell’incomprensibile gioco della manifestazione, questo tentativo non vada sprecato, perché possa un giorno davvero realizzarsi il principio di luce, pace ed amore che permea i sentieri nascosti dell’Uomo.

Per l’ora e mezza precedente la cascata mi ha avvolto, al di fuori ben poco ha catturato il mio pensiero, solo la sua forza, il suo fragoroso cadere, il contatto tra noi vissuto attraverso quelle minuscole gocce di nebbia che a raffiche forti e deboli si posavano sul mio volto. Sentivo gli occhi gelidi, come vi fosse sulla linea tra le palpebre un minuscolo strato di ghiaccio; sentivo la gola freddarsi ed inumidirsi e più volte ho dovuto lasciare il sigillo delle mani per coprirla. La grande mantella in cui mi sono avvolto era il confine tra l’ambiente esterno freddo ed ostile e quello interno caldo ed accogliente. Dentro vi era un tepore confortevole ed amico, mentre fuori l’umidità conquistava terreno, prendendo un ginocchio scoperto, assaltando il volto e la gola. Silenzio ed osservazione, solamente le reazioni minime per non compromettere il mio stato di salute. Sentivo i pensieri roteare e turbinare nell’acqua, poi quando il vento calava, ecco che nasceva un momento di silenzio: dov’erano andati i rumori? Dov’era la cascata? Silenzio, discendi, attendi, osserva, abbandona le parole, osserva solamente... ... ... ... ed ecco una nuova raffica di vento, acqua e pensieri. D’un tratto apro gli occhi, per una volta soltanto e la guardo. Lì di fronte a me, nella sua enormità e nella mia piccolezza, in quel diafano contrasto con la notte nera delle pendici della montagna. Poi mi accorgo che i miei stati di coscienza iniziano a riaffiorare alla dimensione del reale, richiudo gli occhi e ritorno dentro me stesso.

Nessun commento: