venerdì 4 settembre 2009

Ritorno dalla solitudine

Quando il monaco Vetta-che-Ride ridiscese dalle sue montagne per prima cosa volle rivedere gli amici. Il suo cuore traboccava di una gioia incontenibile, di una esplosione visioni vissute e mai dette ad alcuno, poiché nella propria caverna viveva solo con la compagnia dell'aquila e del serpente. In lui si preparavano come cento primavere riunite, pronte a sbocciare ed a trasformarsi in germoglio, pianta e frutto.

Con questi pensieri ridiscese dalla montagna ed andò a cercare gli amici. Bussò alle loro porte, li rivide e li abbracciò. A lungo parlò con tutti loro e nei loro cuori volle scorgere quali fiori si fossero dischiusi durante la sua assenza ed in questo modo misurare anche se stesso. La sua urgenza non era quella di esprimere la propria visione attraverso affermazioni, ma di esprimerla attraverso domande e da quelle stesse domande si sarebbe potuto scorgere il suo cambiamento cresciuto all'ombra della luna piena, al canto del gufo ed al bramire del cervo. Per vivere nella solitudine Vetta-che-Ride aveva dovuto abbandonare qualsiasi dubbio, qualsiasi insicurezza e nel pianto affidarsi all'unica via, quella che sola avrebbe potuto tenerlo vicino a sé stesso, vicino ai propri compagni e vicino ai propri Maestri. Abbandonando la sicurezza, oltre la paura di essersi sbagliato, il monaco aveva fatto del Cerchio la sua forza ed in quel cerchio, in ogni anello di quella catena egli aveva profondamente creduto, poiché ben sapeva che ogni possibile incrinatura di tale perfetta geometria avrebbe significato anche la sua capitolazione. Ogni giorno pregava per loro ed a loro dedicava il sacrificio vivo della sua Pratica. In quella solitudine egli aveva compreso il Potere nascosto nella fede e nella fiducia e di quel potere si era fatto scudo quando la fame giungeva a tormentare le sue meditazioni; quel potere aveva usato come spada quando i draghi della notte vennero a fargli visita e cercarono di prendere la sua testa. Ebbe paura ma vinse i suoi nemici poiché sapeva di non essere solo.

Nessuno degli amici che Vetta-che-Ride incontrò potevano sapere tutto questo, perché loro ancora non avevano intrapreso la via della montagna e della solitudine e nella vicinanza del villaggio avevano l'occasione del confronto.

Quale il ruolo del Cerchio di Luce nel mondo?
Quale la fiducia riposta nelle mani dei Maestri?
Quale il significato della parola Fratellanza?
Quale il significato della parola Sincerità?
Quale il significato della parola Condivisione?

Queste furono le domande che il monaco pose alle persone che pensava che potessero capirlo e con quelle fu franco, fu completamente sincero e ad ognuna parlò come parlasse a sè stesso, oltre la convenzione sociale che prima viveva ancora tra loro, oltre le proprie paure, esponendo quanto di meglio avesse scoperto nella caverna e non nascondendo le proprie paure e le proprie debolezze. Alcuni vollero spiegarsi ed egli ascoltò. Altri vollero ascoltarlo ed egli parlò. A nessuno nascose nulla, né volle seguire alcuna regola sociale, alcuna forma di rispetto che non contemplasse la sincerità e l'amore che provava per loro. Se alcuni non erano pronti, egli questo non lo capì e questa fu la sua colpa, quella di vivere dell'emozione del ritorno, quell'emozione che vive nella realtà del presente l'antica idealizzazione nata nella lontananza. Alcuni non ebbero orecchie per le sue parole ed allo stesso modo le sue parole non furono abbastanza concrete per penetrare al di sotto della corazza del dubbio di altri. Così alcuni cuori enormi rimasero nascosti dietro alle parole e quand'egli capì, comprese anche di aver commesso un errore. Avrebbe dovuto attendere forse che alcuni dei suoi compagni fossero ridiscesi anch'essi dalla montagna, prima voler toccare il cuore di ognuno e di offrire il proprio in cambio.

Egli tornò alla sua capanna, fece scorrere il piolo di legno che chiudeva la porta, entrò e nella piccola stanza distese la stuoia di canniccio. Si sedette e nel silenzio a lungo rifletté sull'accaduto. Dopo alcune ore un grande sorriso comparve sul suo volto smagrito, come un sorriso che abbracciava la Terra e gli Esseri tutti. Dentro di sé ripeteva non mi sono sbagliato, i cuori di tutti noi sono puri. Lenito quindi il suo dolore, lasciò la posizione e si distese sul povero giaciglio. Quindi si addormentò ed un sonno ristoratore lo purificò dalle fatiche della sua impresa.

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