mercoledì 6 gennaio 2010

La macchia (parte 1 di 3)

Per i coniugi Schelfi ed i loro figli si preannunciava un Natale felice, ricco di doni ed in generale simile a quelli passati e a quelli futuri. Giancarlo Schelfi, figlio maggiore di tre, il mattino del ventiquattro dicembre duemilaenove si alzò di buon ora, fece una colazione semplice e schizzò fuori di casa per unirsi alla gelida fiumana di persone che attraversavano, in quell’ultimo giorno lavorativo prima delle feste, il centro cittadino. Anch’egli era, come tutti, alla ricerca di un ultimo regalo: non aveva ancora scovato nulla che si adattasse al raffinato gusto estetico di sua madre Liliana. Scruta Giancarlo, le vetrine pulite dei negozi del centro! Cerca cerca il pensiero più dolce per la tua cara mamma, fai come tutti; tutti ignari d’esser partiti quel giorno per la stessa improbabile missione! Quasi foste una moltitudine di segretissime spie insospettabili l’una per l’altra che furtive gettano occhiate apparentemente disinteressate ad ogni genere di mercanzia. Così camminava, sospinto dalla corrente natalizia, Giancarlo Schelfi, quando d’un tratto vide, dietro ad una vetrina, un corpo femminile acefalo di plastica liscia che indossava un maglione leggero di lana morbida, probabilmente cashmere. Si fermò un istante per valutare meglio l’oggetto in vetrina. Sulla parte anteriore del maglione, su uno sfondo nero campeggiava un grande numero di cuori di colore e dimensioni differenti, ordinati in colonnine tali per cui ogni punta di cuore era diretta verso quello successivo, a mo’ di plotone d’amore. Osservò ancora il maglione, impietrito, poi guardò nuovamente lontano, un punto indefinito tra la folla, dove il caos natalizio andava confondendo le sagome degli uomini in uno sfondo indistinto. Dopo alcuni istanti si decise ad entrare nel negozio, come arreso a quel particolare oggetto, rinunciando necessariamente a tutti gli altri magnifici e inimmaginabili doni non scorti ed ancora racchiusi nello scrigno d’opulenza cittadino. Dentro al locale si fece strada tra le signore anziane e le ragazze giovani, tutte diverse l’una dall’altra ma simili nel guardare, nel commentare tra amiche, nel toccare e pensarsi addosso i capi più strani. Lui però era uomo e come tale non poteva che muoversi goffamente e con passi troppo decisi, che svelavano un certo imbarazzo, in quell’ambiente. Si diresse rapido verso una commessa, scambiò con lei poche concise parole tra cui maglione, cuori, vetrina, taglia quarantasei, pacchetto regalo, grazie ed arrivederci e quindi uscì, vittorioso cavaliere, accompagnato dal suono di un pendaglio appeso sopra alla porta del negozio che, gli parve in quel momento, una nenia militaresca che parlava di ritorno alla terra natia. Nella mano destra, stretta nel pugno chiuso, una borsina quadrangolare bianca, contenente il trofeo di quella sua mattinata di lotta. Raggiante si riunì allo sciame d’uomini e cose che fluiva per le vie; a volte assecondandone il flusso, a volte remando disperatamente in direzione opposta, ritornò al fine al portone antico della propria casa, felice, senza più pensieri e deciso a non uscire più mai per il resto della stramaledetta vigilia.
Quell’anno in casa Schelfi mamma Liliana aveva fatto una scelta particolare, quella cioè di non montare il consueto albero di natale. Si trattava infatti di una complicata operazione di disimballaggio e montaggio, in quanto l’albero in questione era in fibre di plastica ed ogni ramo necessitava di essere connesso al tronco principale in acciaio, spennellato di verde per meglio somigliare al fratello vegetale. L’ordine doveva essere preciso e in generale la tecnica raffinata al punto che quest’anno Liliana proprio non se la sentiva. Rinunciò alle palline ed iniziò ad adornare di lucette e fiocchettini il caminetto del soggiorno, che le era sempre sembrato un degno sostituto per via del calore natalizio sprigionato dalla grande cornice intagliata di ciliegio che sovrastava la pietra. Qui pose alcune luci, un piccolo presepe molto rudimentale, contenente i membri fondamentali della scena e qualche addobbo non troppo suntuoso. Era quello per lei un Natale semplice, dopotutto, sebbene le differenze fossero minime e difficilmente rintracciabili per un occhio non esperto. Eppure c’erano: c’era lo spazio vuoto dove gli anni precedenti svettava il grande albero, c’era forse dentro di lei uno spazio ancor più grande dove si erano riunite in quel mese di dicembre le sue ansie di madre e di donna, ansie che avevano occupato il luogo dedicato un tempo ad altri pensieri, ad una felicità forse più definita, ma anche scontata. Ma nel tuo cuore di donna normale, piccola Lili, non v’è spazio per tutte queste riflessioni e le cose si confondono in un oceano di emozioni inquiete ed altalenanti, come grandi onde troppo vicine ai figlioletti che nuotano in mare. Il tutto si esprimeva in quella decisione di spostare i regali sotto al caminetto.

...to be continued.

4 commenti:

Giacomo ha detto...

quintultima riga: ma nel SUO cuore...

bella comunque, cogli delle sfumature che mi piacciono proprio.
(e poi mi rivedo papale papale nel signor Schelfi!)

GiulioDelleStelle ha detto...

Ciau Giacccssss. Ho cambiato quella riga, in modo che risalti maggiormente quello che volevo fare..:P Ma non era un errore quel "tuo"!

Baci

Giacomo ha detto...

in effetti allora cambia parecchio...

Arianna ha detto...

A livello stilistico me è piaciuto molto questo pezzo:

"Si diresse rapido verso una commessa, scambiò con lei poche concise parole tra cui maglione, cuori, vetrina, taglia quarantasei, pacchetto regalo, grazie ed arrivederci"