lunedì 26 gennaio 2009

Mi sono reso conto di un procedimento interno che accade in me da alcuni anni a questa parte. Io tendo a cercare di evolvere e modificare me stesso. 

O almeno così ho sempre pensato. Non mi sono reso conto che vi erano due livelli, un io interno che osservava e dirigeva le modifiche ed un io esterno, quello della personalità, che le subiva. Come un sarto impratichisce nel tempo, così il primo dei miei io costruisce un abito più raffinato. Fino a quando non capirò che la nudità è l'unico vero volto dell'Essere e potrò appendere la mia personalità  alla parete, da indossare solo al momento opportuno.
Galileo un giorno costruì il cannocchiale: e si mise a guardare la luna che, messa a nudo, non era poi così perfetta come altri al suo tempo sostenevano. Ricordate quell'aneddoto, in cui egli entrò all'università di Padova volendo mettere a disposizione il suo strumento per altri occhi? Gli uomini ebbero paura, preferirono non guardare attraverso quelle lenti. Non dovevano fare altro che usare uno strumento abile ed avrebbero potuto scoprire ulteriore sfaccettature del reale, ma molti non lo fecero, ebbero paura. 

Il mondo moderno non è cambiato di molto, o meglio la questione ha raggiunto il paradosso. Vi sono infatti persone che, salde nella propria visione, non vogliono mettersi in gioco e sfruttare gli strumenti della scienza per aprire la propria mente, dilatarne gli orizzonti. La scienza vera infastidisce ancora una volta le personali costruzioni mentali.

Al contempo però, moltissimi altri, paradossalmente in nome di quella stessa scienza, sono approdati ad un atteggiamento altrettanto oscurantista: esistono solo gli strumenti della scienza. E quando qualcuno propone uno strumento differente, un cannocchiale di nuova generazione, mai visto o giunto da lontano così come il cannocchiale di galileo giunse dall'Olanda, uno strumento in grado di mettere a fuoco nuovi aspetti del reale, ecco che si ricade nella paura, nell'afflizione, nel dogmatismo, stavolta scientifico. La sindrome del "se non vedo non credo" applicata ad uno che non vuole aprire gli occhi.

Una "via di mezzo" tra questi atteggiamenti entrambi dogmatici ed estremi, quella curiosità che dovrebbe corroborare i nostri neuroni al pari del sangue, nasce e muore prima dell'adolescenza. Per tutto il resto della vita, soltanto pochissimi uomini riescono a mantenerla.

domenica 25 gennaio 2009

Una giornata di splendido sole. Rimetto la tavola da snowboard dopo due inverni di pausa. Sciare è come andare in bicicletta, non si dimentica facilmente. I monti svettano intorno nel cielo terso, i colori sono vivi, vibrano insieme gli abeti, i larici, le cime di roccia e neve, l'astro della nostra galassia. Contemplo il mondo in attesa, mentre una bella signorina in tuta bianca scende coraggiosa, con le sue curve incerte e le paure superate. Anche lei mi commuove, si inserisce perfettamente nel mondo come un particolare nel dipinto.

Stanchezza, fatiha in toscano, ben-essere vissuto nell'avventura di qualche fuori pista non troppo avventuroso, ma capace di trasmettere all'uomo la sensazione di volare. La neve è geniale, perchè e acqua farinosa, ma al contrario della forma liquida può esistere anche in pendenza. Un grande vantaggio, in pista.

Pratico non soltanto la terza osservazione, ma l'osservazione del mondo che ruota intorno ad elios mentre io mi muovo sulla sua scorza.

sabato 24 gennaio 2009

I mezzi concettuali a disposizione dell'uomo sono insufficienti per definire le risposte ai grandi interrogativi della vita. Ma, ancora peggiore di ciò, è il fatto che tali mezzi concettuali siano insufficienti e limitatissimi nel sondare gli interrogativi stessi. Non abbiamo strumenti mentali per capire la complessità del reale, la vastità dello spazio e del tempo ed anche quando la scienza ci concede di scoprire i numeri che ci separano dalle cose, ecco che cadiamo nuovamente, perché la nostra testolina è incapace di comprendere anche la grandezza di un numero. Abbiamo bisogno degli esempi. Come per i bambini. 

Se qualcuno mi dicesse che la stella più vicina a noi si trova a 40681440000000 chilometri di distanza, ebbene, mi darebbe parecchio fastidio. Già dire 4,3 anni luce è un numero più ragionevole, più concreto, come quattro mele, o quattro euro e  trenta centesimi. Le parole "anno luce" oltre che un'unità di misura sono un buon tentativo di farci sentire meglio. Ci rassicurano. Per andarci in macchina, con un ferrari che schizza a duecento all'ora nell'ignoto spazio profondo, ci vorrebbero appena 23220000 anni. Si, 23 milioni di anni. E niente autogrill per il panino con la cotoletta.

Nella costellazione del Sagittario c'è una stella con 4 anni luce di diametro. E nella nostra piccola galassia ci sono circa 200 miliardi di stelle. Altro numero fastidioso, con sti miliardi dentro. In un angolo di cielo grande come la luna, ci possono essere anche 250 mila galassie diverse. Moltiplicando circa 50000000000000000 stelle per ogni angolo di cielo della grandezza della luna.

Per la vastità del tempo non sono nemmeno capace di fare un discorso comparabile, trattandosi di qualcosa di ancora più sfuggevole. Sto parlando solamente delle dimensioni conosciute, quante potrebbero essere quelle ignote?

Scrivo tutto questo, solo per ricordarlo a me stesso e per ricordare a tutti noi che è impossibile conciliare questa realtà fisica semplice con la nostra vita. Non usciremmo tanto spesso a fare compere, se avessimo ben chiaro solo uno di questi due o tre numeri che ho scritto sopra. Ma i saldi sono i saldi e noi le compere le facciamo lo stesso.

Questa immensa vastità, profondissima e sconosciuta, questo abisso di vuoto e materia dev'essere un punto di partenza. Non si può prescindere da questo, se si vuole mantenere un minimo di onestà intellettuale. Tutto è, almeno concettualmente, sconosciuto.

giovedì 22 gennaio 2009

Mi abbandono mi assento dalla confusione
nel liquido cosmico la commozione
che il Primo Motore promana da sè
in un vitale respiro.
 
Perdo nel fluido l'istinto di conservazione
il temperamento, nella sospensione mi sento sereno
e mi ricongiungo
nel respiro di ogni cosa.
 
Tendo l'orecchio al giorno nascente
di tutto e di niente s'intende il mio corpo
mentre la donna del vento
con la veste talare profuma d'incenso 
il giardino pensile.
 
Asato maa sad gamaia 
tamaso maa jiotir gamaia.
 
Lungo la strada ricordo i miei anni in penombra
i tumulti lontani non hanno più presa
non ho più pretese, va avanti da sè
il mio rapporto con gli eventi.
 
Mi nutro col nettare antico
ristoro le membra, le aride ossa
e nell'abisso di sempre ritrovo me stesso
e ciò che ho sempre cercato
il destino è segnato
dal Primo Motore.

Again in breve tempo - Juri Camisasca - 
Nel frattempo il cielo mattutino si rischiara. La prima ora di luce vive di una forza particolare ed immota, in un blu pastello intenso. La neve sulle cime già brilla cristallina ed il contrasto tra aria e terra è ancora più netto, definito da contorni precisi. Gli alberi di Mesiano rimangono ghiacciati: come in letargo il cedro impettito non muove un ramo e la brina lo imprigiona, ancora per qualche ora. La luna non è solo una falce rotonda e appuntita, è anche tutto il suo cerchio nascosto che emerge dallo sfondo. E' la notte che tramonta dietro la Marzola.
Nella notte alcuni spiriti maligni affollano la mia casa. Ridono sguaiati, frugano nella dispensa, corrono qua e la per i corridoi, dispettosi come i folletti, ignari delle abitudini delle persone e del rispetto per il loro sonno.

Questi folletti hanno circa trent'anni, provengono uno da Napoli e l'altro dalla provincia di Bari, e sono anche i miei coinquilini Vittorio e Cataldo. Ma non me la sento di essere arrabbiato con loro perché non capiscono la mia necessità di dormire nelle ore notturne. Prendo la loro confusione con lo stesso spirito con cui ho vissuto tante volte il rumore nei miei viaggi, pensando semplicemente che i miei folletti sono così diversi da me da non poter capire le mie ragioni.

Devo comperare dei tappi per le orecchie. Al più presto.
A volte ci si allontana da se stessi. Quando vi si fa ritorno si prova una sensazione piacevole, come rimettersi le proprie scarpe dopo averne indossate a forza di strette. Calzano proprio a pennello. L'equilibrio allontana le emozioni complesse. Bisogna smettere di fingere di provare emozioni, disfarsi dei sentimenti negativi come d'un abito, dissociarli da e riconoscersi, al di sotto.

mercoledì 21 gennaio 2009

Ma shlomha, tinok?
Dammi la mano, vieni anche tu, concedimi questo ballo, un solo valzer con bashir. Ti mostrerò il volto spaventato del nonsenso, del dolore causato dalla guerra, dalla violenza. Ti mostrerò come si spezzano le anime, come si fratturano i cuori mentre ballano, ruotando i piedi a passi di danza, tra i proiettili dei cecchini lontani.

I visi degli uomini si rassomigliano tutti, soprattutto mentre scrutano la diversità nell'altro. Io in questi giorni ho visto un cielo di stelle al fosforo solo nella sala di un cinema, mentre alcuni amici lontani hanno usato quella luce per affondare se stessi e l'altro nel buco nero della morte.

Rimango senza parole. E ballo sul filo teso dei miei perché.

martedì 20 gennaio 2009

Come te ne stai, a sfogliare i tuoi sogni come pagine d'un libro, con quei piedi eleganti che danzano di vita propria mentre parli. Scegli come muovere i tuoi passi, vicini e lontani dai miei. Sei la tua stessa vita, il tuo stesso ottimismo e slancio verso il nuovo. Il tuo volto più bello, quello d'emozioni e luce.

lunedì 19 gennaio 2009

Lieve ruota la vita, concede squarci spaziotemporali a coloro che hanno gettato la propria intenzione nell'ingranaggio confuso degli obblighi. Quest'anno non ho ancora scritto nemmeno una poesia. Quali figli partorirà il duemilaenove? Bisogna pulire il bicchiere al di dentro ed al di fuori, perché possa trasparire l'anima ed emergere la poesia.

Ho rivisto assieme ad un amico alcuni filmati mozambicani, ritornano alla mente i colori di Sena, i visi scuri sorridenti, il profumo della gioia, la mancanza come presenza ruvida. Ho voglia di ripartire per quelle terre. Il resto, dopo.